Regia di Mario Bava vedi scheda film
Su Mario Bava è urgente al più presto una netta rivalutazione della sua figura, che lo collochi nel nostro panorama cinematografico come il miglior regista di genere dopo l'inarrivabile Sergio Leone; mancano però i contributi critici adeguati, se Notturno o alcune pubblicazioni specificatamente l'analisi dell'intero cinema di genere nostrano horror e thriller sono percepiti come troppo di nicchia o ad uso e consumo dell'appassionato per poter essere prese sul serio, da parte della critica ufficiale si scorge qualche timido elogio da parte del Mereghetti e di Alberto Pezzotta, il quale con il suo castorino dedicato al cineasta, pur al netto di stroncature ingenerose e fraintendimenti inopportuni, resta tutt'oggi indispensabile strumento di lettura dell'opera Baviana, nonchè primo e tutt'ora unico riconoscimento esplicito da parte della critica "colta", verso un cineasta massacrato, ignorato e denigrato in vita (con l'eccezione dei lungimiranti francesi), quando in realtà egli ha portato l'horror gotico in un paese che non aveva alcune tradizione nel genere (Maschera del Demonio), inventato il thriller-giallo all'italiana (La Ragazza che Sapeva Troppo/Sei Donne per l'Assassino), creato il pulp movie (Cani Arrabbiati), diventato il padre dello slasher (Reazione a Catena) ed infine stabilito i canoni del cinecomics con Diabolik (1968), con un'anticipo di decenni rispetto alle pellicole blockbuster americane fatte con i milioni e che generano profitti miliardari, giungendo di recente ad ottenere premi e riconoscimenti agli oscar, fino al premio al Leone d'Oro con il recente Joker (2019).
Negli anni 60' tutti la menano con i famosi quanto sopravvalutati supereroi con super-problemi di Stan Lee, pur realizzando grandi vendite, lette oggi quelle storie sono puerili e datate, però gli americani siccome si sanno vendere bene, hanno fatto si che quella roba oggi sia considerata chissà cosa. A differenza dei fumetti USA con un netto manicheismo bene/male, rispetto dell'autorità costituita e moralismo da quattro soldi, qui in Italia grazie allo strepitoso successo del fumetto Diabolik delle sorelle Giussani, spopolarono i cosiddetti fumetti neri (tra cui i "figliocci" Kriminal e Satanik, come epigoni di successo), che a distanza di decenni, anche invecchiati qua e là, quelle storie comunque presentano dei soggetti stra-godibili, poichè contestavano il sistema e l'ordine costituito, avevano dei protagonisti negativi per cui lo spettatore faceva il tifo e non avevano alcuna distinzione tra bene e male, con personaggi che erano tutti negativi, in pratica eravamo anni luce davanti agli americani. Il produttore Dino De Laurentis, non nuovo a scommesse produttive strampalate, decide di adattare al fumetto di Diabolik al cinema, ma avendo a che fare con dei problemi produttivi sorti improvvisamente, decise di chiamare Mario Bava, sapendo della sua bravura nella gestione degli effetti speciali, dandogli un budget relativamente basso di ben 200 milioni di lire (ma per Bava era il più alto della carriera) con annesse limitazioni produttive in merito all'uso della violenza e del sesso, che porteranno il regista a non rimanere soddisfatto del risultato, ma questo poco importa innanzi alla bellezza dell'opera.
Bianco e nero sono gli unici due colori presenti in Diabolik, tanto è netto sotto tale punto di vista il fumetto, quanto colorato e variopinta risulta essere la pellicola di Bava, che conscio delle notevoli ingerenze produttive in merito alla violenza, alla cattiveria e all'anarchia presente nell'opera cartacea, il regista decide di puntare su una forte estetica pop con un'impronta di optical art nelle scenografie del covo di Diabolik, conferendo un'impronta tridimensionale nel suo adattamento, riuscendo a trovare una sintesi riuscita nella fusione estetica tra la settima e la nona arte. Tanto sono spente e bidimensionali le pellicole tratte dai fumetti Marvel da parte della Disney, tanto invece sono tridimensionali le immagini del Diabolik baviano, dove il cineasta cerca costantemente di fondere il gusto nella costruzione delle vignette, con il posizionamento ed i gesti dei personaggi, concependo delle vere e proprie tavole fumettistiche, cercando nell'estetica la necessaria via di fuga, per creare un'opera artistica che prende il basso (un fumetto nero di successo, ma massacrato dalla critica benpensante) per trasformarlo in alto, dando così dignità alle due arti in contemporanea, che oggi le fazioni vedono come conflittuali, ma in mano a Bava divengono complementari.
Accusato da un'ignorante Kezich di essere la pellicola più stupida degli anni 60', il critico pur non avendo torto da un punto di vista meramente superficiale, mostra in realtà la totale incomprensione innanzi al gusto marcatamente pacchiano di Diabolik, che lungi dall'essere negativo, trova nel kitsch la sua ragion d'essere, nonchè il suo equilibrio più compiuto. Rispettando lo spirito del media fumetto, fondendolo con il gusto per gli 007, che erano le pellicole più vicine alla nona arte insieme alle opere di Talshin e a Sciarada di Stanley Donen (1963), Diabolik è un'opera che indubbiamente soffre dal punto di vista narrativo soprattutto nei raccordi, perchè la sua narrazione si sviluppa in modo sconnesso attraverso tre furti (10 milioni di dollari, un collier di smeraldi ed un mega lingotto d'oro) messi in scena dal re del terrore insieme alla sua amata Eva Kant (Marisa Mel), facendola in barba all'ispettore Ginko (Michel Piccoli), tramite il gusto dell'eccesso e dell'esagerazione (specie nel finale), come il covo del nostro Diabolick scenograficamente stupendo (tutto realizzato con giochi di prospettiva, giochi di specchi, grandangoli e modellini, qui si vede il genio artigianale di Bava nel rendere grandioso un qualcosa di inesistente nella realtà, ma strepitoso se visto attraverso l'obiettivo della macchina da presa) con quegli archi tanto belli a vedersi quanto in realtà inutili ai fini pratici, come lo sono i furti commessi da Diabolik per mero fine di autocompiacimento (il rotolarsi dei due personaggi in un letto girevole di banconote), così come sono inconsistenti i due interpreti principali John Philip Law e Marisa Mel, nelle loro labili nelle psicologie e modellati sui canoni dei film di 007, lontanissimi quindi dal rapporto di amore malato e distruttivo presente nel fumetto, risultando così più commerciali e costruiti sulle figure di 007 e la Bond-girl di turno, rappresentazione svilente che finisce con il rendere la figura di Eva Kant erotica e valorizzata nell'estetica dalla macchina da presa suadente di Bava, ma nella sostanza la riduce a ruolo meramente di contorno e di labile supporto a Diabolik nei furti, il che porta i due non eccelsi protagonisti ad essere asfaltati dal ben più navigato e talentuoso Michel Piccoli nel ruolo di Ginko, capace di cercare accordi con i malavitosi pur di acciuffare il re del terrore, divenuto oramai suo unico scopo nella vita.
Pur menomato da tali difetti, il Diabolik di Bava ha ritmo e gusto estetico da vendere, la presentazione del re del terrore i cui occhi azzurri sono messi in risalto da un primissimo piano iniziale inquadrato dal basso è d'impatto, così come la sua rocambolesca fuga intervallata dai titoli di testa ispirati alla saga di 007, ripresa in modo dinamico e furente dalla macchina da presa, che inneggia al dinamismo puro nelle scene con la Jaguar nera, in questo senso Bava come Andy Wahrol riabilita la spazzatura allo stato di opera d'arte, con tocchi consistenti pescati dai quadri Roy Lichtenstein nell'elaborazione animata dell'identikit di Eva Kant, ma al contempo risulta introso di spirito sessantottino nella lunga carrellata di primi piani dei giovani ragazzi intenti a passarsi una canna in discoteca, così come la messa alla berlina dei politici raffigurati qui con fare patetico e caricaturale da Terry Thomas nel ruolo di ministro degli interni e il gesto oggi che oggi sarebbe definito terroristico, ma all'epoca era sintomo di anarchia pura, da parte di Diabolik nel far saltare in aria tutti i palazzi del fisco e delle istituzioni finanziarie, come ripicca nei confronti del governo per aver messo una taglia di un milione di dollari sulla sua testa, sprecando a suo dire i soldi dei contribuenti pubblici. Ma Bava non è un regista "politico" nel vero senso del termine, le sue trovate possono venire bollate come qualunquiste, ma di sicuro era un artigiano che ha sempre cercato di sovvertire e scardinare in modo anarchico le pellicole che si ritrovava a girare, in questo consiste il genio di un regista che non è di certo un maestro di cinema (nè aspirava a diventarlo), ma in ogni sua opera infilava inventiva ed idee artigianali a palate, che compensavano la relativa debolezza e semplicità delle sceneggiature. Stroncato malamente dalla miope critica italiana con giudizi offensivi quanto ingenerosi e flop di pubblico nelle sale nostrane poichè il pubblico lo accusò (giustamente) di scarsa fedeltà al fumetto (ma questo conta molto poco ai fini della qualità), fortunatamente la critica francese e Roger Ebert in america, gli tributarono giusto onore cogliendo il senso estetico-visivo dell'intera operazione, che porterà l'opera ad essere sempre più riabilitata al giorno d'oggi, con i giusti onori tributati, poichè Mario Bava con un budget ridicolo, ha inventato dal nulla il genere e soprattutto la messa in scena del cinefumetto poi perfezionata e declinata ad Hollywood con i miliardi da parte di registi come Burton, Del Toro, Raimi e Nolan decenni dopo, ma oramai entrata da tempo in una fase stagnante di povertà visiva ed artistica per via dello strapotere Marvel/Disney e l'inconsistenza della Warner/DC, che ha fatto si che l'arte pop alta come Diabolik realizzata con due barattoli di ceci e tre di fagioli, venisse dimenticata a favore di un'estetica smorta e spenta, con narrazioni forte solide nella struttura, ma tremendamente banali nei contenuti, a differenza dell'opera di Bava invecchiata il giusto al giorno d'oggi, il che conferma la miopia della critica e dei produttori italiani, che costrinsero il regista ai salti mortali per le limitazioni produttive e di budget imposte, sarebbe divenuto un regista più o meno al livello di Hitchcock, se l'ambiente produttivo avesse creduto appieno in lui.
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