Regia di Mario Bava vedi scheda film
Correva l'anno della rivoluzione... E a modo suo Mario Bava proponeva l'irriverenza elegante del suo cinema e del suo essere uomo in una società in cui non si riconosceva. "Diabolik" è una vera e propria cronaca, e non un film. Manca di idealismo, di retorica, di una struttura narrativa precisa, di spessore nei caratteri. Insomma tutto fa pensare a una rappresentazione sterile della società, fatta solo di buoni, di cattivi, e di chi, invece, si guadagna poi la simpatia del pubblico: ovvero un antieroe bello, danaroso, e spietato, che corre in macchina senza cintura. Diabolik non è un cattivo da cui la gente deve guardarsi le spalle, ma non è nemmeno un eroe tipo Russel Crowe, o un eroe moralista alla Tom Hanks. Diabolik, è "l'anti" per eccellenza: senza morale, non immorale; senza padroni, ma non anarchico; senza forme sociali, ma non nicciano. Ribelle quindi, ma senza nichilismo (come Jacques Le Goff descrive San Francesco d'Assassi, e l'accostamento, permettetemi, non è blasfemo).
L'irriverenza con cui Bava ha creato il film, preferendovi un'iterità svuotata da fronzoli di ogni tipo, e raccontando di "personaggi" prima che di uomini e di attori, ci riconsegna un'immaginario mai perso, ma che più volte viene bistrattato da questa nostra società fondata sull'apparire vuoto e bieco dei reality show: il fumetto. La grande arte della carta ruvida, che fa vivere "eroi", "cattivi", "carogne", e "bisognosi" senza pretendere di fare scuola di vita, è un'arte che più di tutte può aiutare il cinema a trovare la strada estetica e poetica che oggi ha perso. Fortunatamente, ci sono i Tarantino, i Raimi, i Rodriguez, i Carpenter, e i Craven che sanno ancora regalarci un cinema come quello di Bava e compagni, ovvero un cinema che non vuole mentirci con eroi belli, puliti e filogovernativi, ma attraverso la finzione vuole piuttosto rappresentarci. Rappresentare noi e la nostra fottuta società.
E comunque ci sono fumetti (vedi Bonelli) che sanno ancora non solo esaltarci artisticamente, ma anche buttarcì là ogni tanto qualche provocazione morale, che non fa mai male per la crescita di un ragazzo, di un uomo, di un sognatore.
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