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The Last Act

Regia di Paymon Shahbod vedi scheda film

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La recensione su The Last Act

di alan smithee
7 stelle

scena

The Last Act (2024): scena

42TFF: CONCORSO

Una affermata attrice iraniana torna sulle scene in un film in cui interpreta una donna in viaggio alla ricerca della figlia.

Mentre la troupe sta girando alcune scene ambientate in un autobus, la donna cerca di mettersi in contatto con la sua vera figlia, che deve subire un serio intervento chirurgico ed ha bisogno della madre come donatrice. Ma la figlia è sparita da casa e l'apprensione della donna sale, anche se non la induce ad abbandonare il set, ma in fondo la motivazione ad entrare con più intensità in quel ruolo similare che ella è tenuta ad interpretare.

 

scena

The Last Act (2024): scena

Paymon Shahbod

The Last Act (2024): Paymon Shahbod

Nel mentre le difficoltà sul set impediscono al regista di mantenere i tempi programmati, e alcuni appostamenti della polizia intervengono a complicare le cose, anche a causa dell'indifferenza del regista, individuo integerrimo e militante, malvisto dal sistema e boicottato in tutti i modi nello svolgimento del suo lavoro.

Il cinema iraniano ama sin dai tempi del meraviglioso ed ineguagliato cinema di Kiarostami degli anni '80 e '90 la contaminazione tra vita reale e quella filmata, e in questo suo primo lungometraggio il regista iraniano Paymon Shahbod torna ad affrontare questo stimolante confronto.

 

Paymon Shahbod

The Last Act (2024): Paymon Shahbod

In tal modo sentimenti reali, o presunti tali, e racconto filmato, si fondono in un unico dramma umano composito e toccante, che aiuta entrambe le versioni dello stesso individuo - attrice nel suo privato e personaggio nel suo calvario esistenziale - a migliorarsi nel comprendere, da una parte, ad affrontare un confronto madre e figlia necessario ma ostile, e dall'altra ad entrare con più intensità all'Inter di un personaggio sfaccettato di madre nel aet cinematografico ostacolato sa mille vicissitudini.

Ancora una volta il cinema iraniano ad incastri funziona e stimola a farsi prendere dal gioco metacinematografico in cui vita vera e il meraviglioso mondo della fiction si fondono in modo quasi indistinguibile.

Nel contempo riemerge in modo evidente il disagio di fare arte e poter esprimere liberamente i propri sentimenti e motivazioni dinanzi ad un regime oppressivo che limita ogni libertà di concetto e rappresentazione castrando ogni tentativo puro di creazione artistica che possa risultare scevra da condizionamenti e vincoli, come ogni forma di espressione creativa avrebbe bisogno di poter vedersi garantita.

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