Regia di Abdelhamid Bouchnak vedi scheda film
42TFF: CONCORSO
Un figlio da tempo desiderato si rivela il desiderio finalmente concretizzato di una coppia tunisina finalmente serena e compiuta.
Ma, una volta nato, il neonato, apparentemente maschio, si rivela come un raro caso di intersessualità, avendo la creatura i genitali di entrambi i sessi.
Lo sgomento giunge all'istante, e diventa un incubo ossessivo soprattutto per il padre, ossessionato più che altro dall'opinione di terzi in una vicenda che, presa con meno veemenza, darebbe luogo a soluzioni meditate e prese soprattutto in considerazione e per il bene del neonato.
In tre giorni la coppia viene convinta a decidere quale tra i due sessi preservare, divenendo secondario ogni altro sfondo ed argomentazione ed emergendo solo quello esteriore e la vergogna che un figlio così differente potrà generare al buon nome della famiglia.
Classe 1984, il regista tunisino Abdelhamid Bouchnack firma un'opera densa di interrogativi ed incognite che sconvolgono e sconquassano un'armonia familiare che pareva consolidata e coronata dalla nascita di quel tanto agognato erede.
Il film di fatto istiga una serie di riflessioni morali e anche concrete all'interno di una società ancora molto chiusa e soggiogata da un credo religioso che non accenna ad evolversi verso forme di tolleranza e di rispetto delle altrui inevitabili differenze dai canoni troppo rigidamente pretesi e dati per assodati.
Il film funziona grazie alla sensibilità di scrittura che lo caratterizza, e ad un ritmo quasi da thriller con cui viene condotta la vicenda tutta segreti e sotterfugio che finiscono presto svelati ai soggetti meno opportuni, o almeno così reputati, fino a scoprire che a volte proprio costoro, nella figura specifica dei genitori del marito, si rivelano le persone più sensibili e sensate di qualcuno della nuova generazione, ancorato a timori o paure come antico retaggio di cultura e religione incapace di evolversi.
Il film pecca solamente di una eccessiva reiterazione di finali, mentre brilla e sarebbe dovuto concludersi con la stupenda ed evocativa scena dell'ago che dà il titolo all'intera opera.
Ma nel complesso questo L'aiguille (questo il titolo originale) si rivela un film maturo e riuscito, in grado di stimolare riflessioni acute che tentano si trovate soluzioni a farti e situazioni di per sé altamente drammatiche e complesse anche al di là di condizionamento morali e inutili e fuorvianti veti religiosi.
Il film può contare su un cast ristretto ma molto convincente , entro cui brillano i due coniugi protagonisti, ottimamente resi da Fatma Sfar, già bravissima nel quasi-thriller Aicha (2024, visto ad Orizzonti di Venezia 81) e Bilel Slatnia.
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