Regia di Henry Hathaway vedi scheda film
In questo caso limite del sistema hollywoodiano hanno il loro culmine l'estetica e l'etica del sogno, l'intreccio inestricabile del destino che tutto ha pianificato, la follia dell'amore assoluto e puro, trionfante contro ogni separazione, contro ogni ostacolo umano e spaziale.
Il cinema, nella sua mecca onirica, si celebra e ci ammalia, dipana le fila confondendosi con la vita stessa e con quella parallela del nostro inconscio, ci inganna placidamente e ardentemente insieme, sornione e cinico, taumaturgo traumatizzante. Si confonde con la luce del mondo (il "rombo del mondo", un fulmine che distrugge il castello di carta, la luce che fende la sala e poi ci folgora quando si giunge alla fine), con i sogni, con la materia e i sentimenti.
Tutto è possibile in questa esultanza di innocenza di due bambini (meravigliosamente bravi Dickie Moore e Virginia Weidler) già dalla profondità adulta e dalla bellezza incorruttibile, dentro e fuori, realismo e surrealismo sono una cosa sola, il bianco, il nero e il grigio trasfigurano con dolcezza un legame che travalica le "normali" coordinate spazio-temporali e restituiscono, assieme alle fresche e ingenue melodie di Ernst Toch, un pathos intenso e distillato, una bellezza autentica che non conosce morbosità o malafede.
Però, è il destino che dirige le passioni o sono queste che dominano gli avvenimenti?
Radiosità e splendore si incarnano nei volti e nel carisma di G. Cooper ed A. Harding.
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