Regia di Henry Hathaway vedi scheda film
Due amanti (Cooper, mai così bello; e Harding, mai così bionda), vengono separati da piccoli dal destino avverso: seppur lontani riescono a ritrovarsi in sogno e a vivere un'esistenza parallela al di fuori della realtà che li tiene distanti. Ritrovatisi in età adulta tenteranno di fuggire contro la volontà dell'attuale marito di lei. il quale, nel tentativo di dare agli amanti comune sepoltura, rimane ferito a morte. Così i due sopravvissuti saranno costretti a restare separati: l'uno in prigione, paralizzato, ma ancora in vita; l'altra nel suo immenso e vuoto castello ... ma continueranno a ritrovarsi ogni notte, al di fuori delle rispettive celle per camminare tra i fiori e accarezzare l'erba, insieme. Fino al momento finale, che decideranno di condividere per essere uniti, eternamente. Il lavoro di Hathaway sull'illuminazione è senz'altro sbalorditivo: i passaggi alle sequenze oniriche sono scanditi da lievi dissolvenze, impercettebili, fumose, fluide, che non spezzano il racconto pur essendo le une molto simili alle altre. Gary Cooper (mai così bello, l'ho già detto ma ci tengo a sottolinearlo) scalza le sbarre della sua cella avvalendosi di una ripresa sovrapposta; la Harding s'incarna in un fascio di luce parlante, è tutta aura, sogno, sospinta dalla luna letargica che si fa largo tra le inferriate per sollecitare all'incontro i due amanti, così lontani eppure così vicini. Non mi sorprende che in clima di avanguardia anche il cinema americano non abbia resistito alla tentazione: prodotto succulento, al pari delle esperienze psichiche estreme di Robert Desnos, o dei deliri esistenziali di Jacques Vaché. Bellissimo.
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