Regia di Yasujiro Ozu vedi scheda film
In questo film, la quotidianità inscatolata tipica del cinema di Ozu cerca di contenere l'incontenibile, ossia le relazioni sfuggenti, i legami inconsistenti, le unioni disgregate. Le mura simboleggiano le onnipresenti barriere del silenzio e delle incomprensioni, mentre i corridoi, le strade e le linee ferroviarie indicano una folla di anime solitarie in transito, non si sa verso dove. La perdita della fiducia nel prossimo e la fine della speranza nell'amore hanno creato un'umanità che non sa più volare, e per questo attraversa la terra con passi pesanti, abbandonandosi, all'occasione, nel primo angolo di mondo che abbia l'illusoria parvenza di un rifugio. Un sorta di torpore morale schiaccia i personaggi, trattenendoli nella stretta fascia di penombra che rimane, sopra l'orizzonte, poco prima del tramonto: crepuscolo è il bassofondo dell'esistenza, il residuo strisciante della forza vitale che ci fa vagabondare da una parte all'altra, senza alcuna prospettiva di riscatto, senza alcuna possibilità di risollevarci, di rialzarci ad inseguire un sogno. Le inquadrature dal basso verso l'alto, in cui gambe e piedi dominano la scena, sottolineano questa pesantezza, questa assenza di pensieri costruttivi in cui le teste sono solo appendici inespressive. Intanto i dialoghi sono ridotti ad inutili rimbalzi di parole: le frasi e gli sguardi, che puntano dritti verso la macchina da presa, sembrano non raggiungere mai l'interlocutore, perdendosi nel vuoto; tuttavia, in questo modo, acquistano l'attenzione di un'immaginaria platea universale, a cui consegnano riflessioni e insegnamenti sotto forma di accuse e recriminazioni personali. E benché il finale sembri voler ripristinare, negli animi dei protagonisti, la tranquillità della coscienza, il sentimento rimane per sempre morto e sepolto; è solo la rassegnazione della perdita, unita ad un saggio pragmatismo, a ricomporre, nel quadro dei rapporti familiari, una muta e fredda forma di armonia. Ne "Il crepuscolo di Tokyo" Ozu innalza il realismo della normalità al rango di drammatica poesia: la sua raffinata sobrietà narrativa infonde, nei dettagli più futili, una potenza rappresentativa inaspettata; egli riesce così a far parlare lo sconforto dell'abbandono e dell'isolamento col linguaggio della gente comune, in mezzo agli ordinari oggetti della vita di ogni giorno.
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