Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Eastwood ritorna al courtroom drama là dove lo aveva lasciato, alla Mezzanotte nel giardino del bene e del male ambientato nella medesima Georgia che ospita la vicenda anche di Giurato n°2, in quell’umidità appiccicosa di Savannah che si popola di fantasmi e di misteri, di colpe e di innocenze perdute, dove la verità sembra perdersi nella foschia che rende incerto il visibile. Ma della vicenda processuale Eastwood prende l’essenza di una esposizione dei medesimi fatti che scaturisce in una interpretazione opposta, colpevolista o innocentista, sottolineata da un inedito e rapido montaggio alternato delle testimonianze e delle arringhe, che si annullano a vicenda, lasciando il fardello della decisione finale alla giuria, l’orpello democratico di un gioco delle parti del sistema giuridico americano che mette nelle mani dei suoi concittadini il destino di una persona.
Il regista si avvale di un perfetto plot hitchcockiano, variato però al contrario, con un uomo qualunque alle prese con il pericolo di una condanna tramite un scambio di persona, esattamente come in Io confesso e come in molti altri film del regista inglese, con una struttura a cappio che si stringe attorno al protagonista, in un calco del Ladro, ma con la piccola ma fondamentale differenza che l’eroe è anche il colpevole. Con una tensione crescente, non dissimile da Senza via di scampo di Donaldson, il protagonista lotta contro circostanze sempre più incriminanti per una libertà che forse non merita, cercando, al contempo, di non essere indiziato e di non far giustiziare un innocente, per non condannare la propria coscienza. Con queste premesse, la suspense hitchcockiana funziona correttamente ma al contrario, perché il pubblico conosce sì la verità e sa a cosa va incontro il personaggio principale mentre lui non è al corrente della sottotrama investigativa che va dipanandosi, ma il pubblico però tifa - forse - per la verità. Nel susseguirsi di testi e di prove presentate, quando si argomentano teorie e si inanellano apparenti certezze, della giustizia i confini diventano sempre più labili, sporcati dalla cattiva coscienza della colpa e della politica, dai desideri e dalle ambizioni, e il film si ritrova ancora una volta in quel giardino dove bene e male si avviluppano e si smarriscono.
Tornano anche riverberi di altri film di Eastwood, con la scena cruciale che coinvolge un uomo e una donna, con una macchina e la pioggia battente: ma se quella scena suggellava il mélo dei Ponti di Madison Country, portando lontani i destini dei due temporanei ma indimenticati amanti con la definitiva separazione, in questo film, scambiando le posizioni al volante e variando in notturna l’ambientazione, il fato riunisce due sconosciuti in un incontro fatale e dimenticato, da cui poi scaturisce la tensione dell’intera narrazione. Inoltre, l’alcool è spesso un compagno di sventura per molti protagonisti di Eastwood, dal giornalista di Fino a prova contraria al cantante in crisi di Honkytonky man, dove il personaggio cercava comunque di redimersi superando la dipendenza e imprimendo una diversa direzione alla propria vita (non sempre riuscendoci); in questa ultima pellicola, il giurato, ex alcolista già sobrio (sebbene tentato dal bere), cerca di far deviare le vite degli altri affinché non cozzino con la sua, uomo gentile e onesto, sincero e probo, almeno fino a un certo punto, ricercando l’evidenza di una redenzione che non potrà essere tale.
Con un’ironia feroce che soggiace a tutto il film e al suo stesso impianto narrativo, ma che mai si manifesta in cinismo o critica evidente verso i personaggi, Clint Eastwood costruisce una pellicola di classica modernità, pacata nell’incedere ma ferrea nella regia, cinefila quanto originale, dove ognuno ha le sue ragioni e anche ottimi argomenti per portarle avanti, con cui il regista continua il suo ritratto di un’America fatta di solitudini e di incomprensioni, col suo umanesimo liberale che non tinge mai la solidarietà di ideologia perché è scelta singola e irripetibile, non un modello a cui attenersi. E come monadi impazzite, i personaggi del film rimbalzano gli uni contro gli altri in dialoghi fitti e situazioni tese, creando un thriller che lascia La parola ai giurati e cancella il giallo del whodunit con un colpevole inconsapevole. Sfruttando al meglio le prove di tutti gli attori, relegando anche premi Oscar in parti minori, il regista, come Hitchcock con Cary Grant nel Sospetto, si avvale della bella faccia pulita di un protagonista (Nicholas Hoult) per raccontarne i tormenti, lasciando, rispetto al film del 1941, che le angosce e i dubbi dell’omicida (quale era Grant nel progetto originale) si riflettano su quel medesimo volto, straziato dal bene e dal male. Almeno per un po’.
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