Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
La verità ha un costo, che a volte può risultare elevato, per non dire insostenibile. Per raggiungerla e custodirla, sono richieste delle condizioni più rare di quanto siamo portati a pensare/auspicare, sgomberando il campo dalle convenienze, spesso futili, e da etichette, a loro volta fuorvianti, per far prevalere una comprensione che richiede di impegnare tempo ed energie. In poche parole, occorre necessariamente non incagliarsi sulle apparenze e compiere dei sacrifici, rivedendo la lista delle priorità e andando in contromano rispetto a un sistema giudiziario difettoso, corrotto alla radice, con un tessuto sociale che, dal canto suo, detesta mettersi in discussione e ama adagiarsi nell’indifferenza, perso com’è nella bolla della contemporaneità, che antepone brutalmente l’individualità alla collettività, con gli interessi personali che prevalgono senza indugi su qualsiasi merito/considerazione.
Fortificato/irrorato di una prosa che non conosce pause o battute a vuoto, arricchendosi peraltro di sfumature efficaci e di quei busillis intuitivi/fisiologici che non sappiamo/vogliamo più ammettere/riconoscere, Giurato numero 2 fabbrica, intreccia e officia una sfilza di dinamiche funzionali per mettere lo spettatore davanti a uno specchio e costringerlo a porsi degli interrogativi fondamentali/scomodi, riattivando sinapsi accantonate/occultate, disperse nel vuoto pneumatico di convinzioni inquinate da unaforma mentis divenuta predominante, che soffoca ogni ragionamento addizionale.
Mentre sua moglie Allison (Zoey Deutch – The politician, Prima di domani) sta portando avanti una gravidanza a rischio, Justin Kemp (Nicholas Hoult – Warm bodies, X-men: Giorni di un futuro passato) viene selezionato in una giuria che deve giudicare James Michael Sythe (Gabriel Basso – Elegia americana, The kings of summer), accusato di aver ucciso la sua compagna.
Tutti gli elementi a disposizione inchiodano l’imputato, nonostante si dichiari innocente e il suo avvocato (Chris Messina – Devil, Sharp objects) non si perda d’animo, mentre l’accusa è guidata da Faith Killebrew (Toni Collette – Hereditary, Il sesto senso), che con una vittoria si assicurerebbe un importante salto di ruolo nella sua carriera.
Quando il dibattito entra il vivo, Justin si accorge di essere il reale colpevole, di aver investito la ragazza pensando erroneamente si trattasse di un cervo, cosicché tenta di spostare il giudizio di una giuria pronta a emettere un giudizio sommario, avvalendosi anche del supporto di Harold (J.K. Simmons – Whiplash, Counterpart), un ex poliziotto che vorrebbe vederci chiaro.
Nel frattempo, in virtù delle mosse improvvide del giurato, anche Faith apre gli occhi e la questione si complica tremendamente, per Justin ma anche per lei.
Entrambi saranno chiamati a fare delle scelte che finiranno per condizionarne inevitabilmente il futuro.
Alla veneranda età di 94 anni e dopo un film tutt’altro che entusiasmante (Cry macho), Clint Eastwood torna a ruggire con il suo 40esimo lungometraggio, ricorrendo a una sceneggiatura scritta da Jonathan A. Abrams, un esordiente. Un soggetto che rientra pienamente nelle sue corde da battitore libero, che infila il coltello nella piaga (vedasi i recenti Richard Jewell e Sully) di una realtà che si accanisce contro il colpevole di turno, designato a tavolino.
Giurato numero 2 è un legal thriller maturo e consapevole, che non ha bisogno di alzare la voce per trasmettere il messaggio che incorpora, caratterizzato da un ago della bilancia che tende a spostarsi gradualmente, con una lente d’ingrandimento che sonda la percezione comune per poi ricordare/alimentare il ragionevole dubbio e quelle debolezze che non conoscono il contraddittorio, collocandosi – spesso e volentieri – tra l’incudine e il martello.
Dunque, si getta nella mischia viaggiando ad altezza uomo, tra sensi di colpa e sedie che scottano, prese di coscienza e blocchi che non consentono di compiere appieno ciò che sarebbe giusto, conflitti interiori e ricostruzioni parziali, con un capitolato disciplinare che fa incetta di fattori rilevanti.
Spaziando tra esperienze pregresse e un futuro pianificato al quale non si può rinunciare, sentenze scritte e verità inconfessabili, si fa largo con stoccate puntuali, insinua la pulce nell’orecchio e non perde l’occasione per aggiungere ulteriori impulsi, scava in profondità e suggerisce svariate riflessioni.
Un fuoco incrociato che apporta inserimenti/valutazioni in corso d’opera, sottesi a valorizza il capitale umano, disegnando/designando personaggi tormentati/combattuti che divengono automaticamente pietre angolari da scrutare/interrogare, con una direzione essenziale che dà ampio risalto agli interpreti, sia i principali, con Nicholas Hoult e Toni Collette – che si ritrovano dopo essersi assaggiati in About a boy una vita fa – infilati in una pentola a pressione dalla quale ne escono con un corposo quantitativo di crediti, e tanti ruoli secondari che acquisiscono una propria temporanea luminosità (su tutti, vedasi Chris Messina e J.K. Simmons).
In conclusione, Giurato numero 2 è un film dotato di una commovente integrità/onestà/serietà, di una purezza d’intenti lapalissiana e di una forma estetica stampata a chiare lettere dalla fotografia accorta/pulita di Yves Bélanger (Dallas buyers club, Brooklyn), per una messa a fuoco tipica di un cinema destinato a estinguersi. Un film che non può eguagliare i capolavori del suo autore (vedi opere come Gli spietati, Million dollar baby, Mystic river e Gran Torino) e che neanche ha la sprovveduta presunzione di arrivare a tanto, ma che ha comunque sia un principio attivo che denota una padronanza totale e delle motivazioni espresse con invidiabile lucidità, per un amalgama costruttivo che sfocia in un colpo da biliardo sul finale, tale da lasciare un congruo spazio all’elaborazione dello spettatore, chiamato ad assumersi le proprie responsabilità morali, che vanno ben oltre la dimensione dello schermo.
Lungimirante e robusto, organico e autorevole.
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