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El Condor

Regia di John Guillermin vedi scheda film

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La recensione su El Condor

di scapigliato
8 stelle

Produzione americana in quel dell’Almería. Dirige John Guillermin, quello dei due “King Kong” di De Laurentiis, e produce un nome cult della vecchia Hollywood come André de Toth. Il risultato purtroppo non è all’altezza dei coevi titoli europei, però si lascia guardare grazie a dei fattori di non poca importanza. Primo tra tutti la presenza di Lee Van Cleef, leggendario westerner, che qui gioca al gigione, esagerando in chiave brillante il suo personaggio brutto, sporco e alcolizzato. Figlio naturale dei “brutti” alla Tuco, il suo El Cóndor, è un personaggio davvero incredibile, che nonostante sia in discontinuità con i ruoli a cui l’attore ci aveva ben abituato riesce a fare centro più dell’altro protagonita, l’attore afroamercano Jim Brown, più serioso, più freddo, meno istrionico. A correzione di quanto dice Marco Giusti, il “Cóndor” del titolo non è la fortezza in cui è ambientata la maggior parte del film, ma è il personaggio di Lee Van Cleef. Basterebbe seguire il film per sentirlo chiamare a quel modo. Certo, dopo questa lavorazione quel luogo davvero speciale verrà ribattezzato Fuerte El Cóndor, a ricordo del film. Oggi è tutto un rudere in una proprietà privata appena dopo il Western Leone, il Poblado del Oeste in cui si trova il Rancho Leone (ex Sweetwater di “C’era Una Volta il West”).
Il regista prende alcuni elementi del western all’italiana e li usa per confezionare un western americano atipico, tant’è che la bizzarria è la cifra estetica/poetica del nostro genere. Infatti un vecchio e alcolizzato cercatore d’oro viene coinvolto da un evaso di colore (e non sono troppi i neri negli spagowestern) a radunare 100 apaches per assaltare un fortino sperduto nel deserto del Diablo dove è nacosto l’oro del Messico. Le miniere di Rodalquilar, Los Albaricoques, i pianori nelle vicinanze del forte e il forte stesso, importantissima presenza narrativa ed estetica, sono il teatro dei vari tentativi di assalto e delle battaglie sanguinose tra gli apaches e i soldati del cattivo Chavez interpretato da Patrick O’Neil. Questi è un attore elegante che passa la sua eleganza al suo personaggio rendendolo un cattivo di lusso, molto ben riuscito. Cadenze normali, toni misurati, recitazione sobria, eppure lo sguardo e gli scarti canaglieschi sono individuabilissimi e godibilissimi. Oltre a Lee Van Cleef, il cattivo Chavez e agli scenari di Tabernas e del Cabo de Gata, il film è apprezzabile per alcune sequenze davvero ben riuscite, come il secondo assedio al forte e il duello finale. Qui, Lee Van Cleef tira fuori tutta la propria grandezza di attore, e passa dal commediante cercatore d’oro al determinato e direi pure sottilmente luciferino pistolero El Cóndor. Il duello resta fuori dallo schermo, ma è un’idea visiva ottima che fa il paio con la suggestione sempre visiva del forte dopo la battaglia: sul grande e vasto piazzale interno giacciono orizzontali cadaveri e rovine fumanti, mentre due soli sopravvissuti, verticali, si sfidano. Da notare infine l’affondo pseudo-erotico con Mariana Hill, nuda alla finestra per distrarre i soldati del marito comandante. Incarna non più la donzella integra e dedita al focolare del western americano, ma nemmeno la vigorosa e tenace pistolera della variante italiana. Il suo personaggio è davvero un personaggio femminile che sfodera fascino e libido, e passa dall’amato marito, ufficiale ricco e potente, al povero negro, muscoloso ed ovviamente dotato. Una riflessione morbosa sul ruolo della donna e dei gender nel selvaggio west che non è stata purtroppo approfondita.

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