Regia di Paolo Genovese vedi scheda film
FolleMente. Il titolo fa presagire la possibilità di trovarsi in una commedia (di Genovese, certo...) che sappia trattare il tema delle insicurezze (inter)personali - follemente - e (quasi)schizofreniche - la folle mente - planandoci sopra con leggerezza, secondo quanto vorrebbe il Calvino delle "Lezioni americane" citate nel film. Purtroppo solo aspettative pressoché disattese. La pellicola, nonostante il cast di stelle (italiane sì, ma pur sempre stelle) a dare vita al theatrum psicotecnicum nella mente dei protagonisti - condotto da 4 personaggi ciascuno, rappresentanti ognuno un tipo di personalità-pensiero - risulta ineluttabilmente piatto. Infatti è mosso da una sceneggiatura che, già partendo da un'idea tutt'altro che originale, non è abbastanza brillante per una scenografia statica e "interiore" - forse asfittica - come quella rappresentata (la casa di lei + la mente di lei + la mente di lui) e risulta totalmente priva di ritmo e, soprattutto, di plot-twist. Troppo sciocchi e telefonati i cambiamenti dei due personaggi dopo la chiamata della figlia di lui e la citofonata dell'ex invadente di lei. Tre forse le scene salvabili (calvinianamente "leggere"): 1) fuori-mente, quando lui decide di aprire il regalo dell'ex di lei, piccolo coup de théâtre che in fondo strappa un sorriso (ma, come detto, nulla più); 2) in-mente, la metafora dei cassetti per la ricerca spasmodica da parte dei personaggi-pensiero delle parole che sfuggono ai protagonisti, non certo originalissima, ma incalzante e divertente; 3) in-mente, la similitudine del raggiungimento dell'orgasmo di lei come il camminare delle personagge-pensieri in equilibrio e con coordinazione su una trave da ginnastica artistica con il rischio continuo di cadere (unica idea veramente buona; si dirà "su 100 poco riuscite 1 viene sempre bene"), in parallelo allo sforzo di lui nel praticare il cunnilinguus trasformato in una seduta di ciclette da parte del personaggio-pensieroerotico-Santamaria (non proprio originale ma sincera). Questi brevi momenti non bastano però a cancellare tutto il brutto del film: scontatezza, piattume sentimentale, romanità (sempre) troppo eccessiva, (quasi) tutti i personaggi-personalità di lui (nemmeno il buonissimo - a teatro - Papaleo) , la personaggia-personalitàsensibile-Puccini che parla in napoletano e conseguente battuta didascalica della personaggia-pensieroautodistruttivo-Giannetta sull'espressività del napoletano (sigh!), Somebody to love al raggiungimento dell'orgasmo (scontatissimo, anche se... mah... tutto sommato divertente...), finto intellettualismo citazionista, Leo che guarda in camera (un frame, solo un frame, che però non è una crepa ma un baratro...). In generale, sarebbe potuto essere un film “leggero” (v. supra), ma è solo parecchia noia.
Voto 4,5.
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Quando lo
Vedrò capirò
L’ho visto pensavo meglio, ma in ogni caso valido
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