Regia di Marco Ferreri vedi scheda film
Lodato per motivi diversi, come "apologo crudele e grottesco sulla vecchiaia e l'ipocrisia dei rapporti familiari borghesi. E' anche un ritratto impietoso della Spagna franchista" per Morandini, o come "parabola anarchica" per Mereghetti, o per "una poetica di satira funerea della società" per B. V. (Bruno Venturi) in Di Giammatteo, che ne travisa fortemente la vicenda; Mereghetti e B. V. lo dicono, non so perché, "arrivato in Italia con diciotto anni di ritardo", mentre è "uscito in Italia nell'aprile 1962; (…) indice di frequenza 23 (dati aggiornati al 31-5-1962; da «Cinemundus»)" (dalla scheda di BER per il Centro S. Fedele, del 31-7-62); ne è ulteriore prova la quantità di recensioni uscite nei giornali italiani nel 1962.
Confesso che, pur senza entusiasmi, l'avevo a suo tempo apprezzato anche io; ma rivisto a distanza di anni rivela tutta la sua debolezza, mentre i grandi film non invecchiano. E' la storia di una fissazione senile come ce ne sono tante, proposta senza partecipazione e con l'implicita pretesa di spacciarla per apologo, ma così generico che è stato letto in modi disparati secondo i gusti dei vari critici. Eppure Ferreri non forza neppure il racconto per aiutare simili elucubrazioni. Anselmo è un vecchio maniaco che frequenta amici invalidi che girano in carrozzella. In famiglia non risulta affatto maltrattato o disprezzato come alcuni critici dicono: entra nello studio del figlio avvocato che lo accoglie con molto rispetto nonostante la presenza di clienti (o forse per far bella figura di fronte a costoro), intervista i clienti in attesa ficcando il naso nei loro affari e i parenti cercano di allontanarlo con bei modi… La moglie ha lasciato in eredità alla nipote i gioielli, da consegnarle solo il giorno, ormai imminente, delle nozze; invece Anselmo li vende per pagare la prima rata di una costosissima carrozzina a motore (il “cochecito” del titolo).
Mi pare ovvio e naturale che il figlio se ne irriti e minacci di farlo interdire e rifiuti di pagare le rate successive; il giorno della scadenza della rata Anselmo avvelena tutta la famiglia, se ne va in carrozzina con gli amici, poi è fermato dalla polizia che gli intima di seguirlo: lui chiede se in carcere gli lasceranno ancora usare la carrozzella: domanda finale nel gusto della boutade ma anche conferma del fatto che Anselmo è suonato e irresponsabile, e che voleva la carrozzella per ossessione maniacale senile e non per la necessità di stare con gli amici invalidi, come di solito si intende; infatti la desidera anche in prigione dove non può stare con loro, mentre prima ci stava anche senza carrozzella.
Ferreri riassume la vicenda dicendo infatti che il vecchio "desiderava ardentemente una vetturetta da invalido", ma non accenna minimamente al fatto di poter stare in compagnia degli amici, come invece ripetono quasi unanimi i critici; conclude che "scoprì che le vetturette (…) non possono dare la felicità, e che in fin dei conti non sono, come tutto il resto, che vanità delle vanità" (da BER). In realtà la conclusione è data chiaramente dal regista, nella solitudine desolata della sera nella campagna dove Anselmo se ne va solo e dove viene arrestato, ma lui si preoccupa ancora di poterla tenere anche in carcere. Un po' come l'avaro che vorrebbe portarsi nella tomba il suo denaro.
L'egoismo di Anselmo è sottolineato dal regista fin dalla scena iniziale al cimitero, dove con l'amico invalido portano fiori alle tombe delle rispettive mogli: lui non si segna e non partecipa del dolore dell'amico, ma solo di fronte alla propria moglie, e forse solo per rispetto delle forme. Il suo formalismo convenzionale risulta nei suoi discorsi sul figlio e sul fidanzato della nipote, presentati prima come validi avvocati, poi rivelati nei loro limiti quando quelli minacciano azioni legali contro il venditore di carrozzelle. Il problema degli anziani allora incominciava a imporsi, ora è ben noto a tutti; ma il film non lo esamina neppure, si limita a mostrarne un esempio estremo, senza commenti, senza proposte, senza simpatia.
Lo stile e l'argomento possono ricordare solo vagamente il neorealismo, e non ne sono affatto una parodia né una presa di distanza. Il film è molto modesto, infiacchito da immagini monotonamente in campo lungo, soprattutto negli esterni, nei rapporti con gli amici invalidi, con pochi primi piani e pochi cambi di campo. Mi sembra una osservazione valida per molti film di Ferreri quella di F. Valobra (in Avanti!, 3-9-60): "resta a mezzo tra la satira grottesca e il neorealismo cronachistico. Per cui, alla fine, l'assassinio del [sic; per "compiuto dal"] vecchio risulta non abbastanza reale per essere preso sul serio e non abbastanza carico di 'humour' per passare come uno scherzo".
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