Regia di Lars von Trier vedi scheda film
“Ogni donna è una straniera che viene da lontano.Ogni madre può essere Medea”
“La nostra città è la scuola dell’Ellade”.
Le parole di Pericle nell’epitaffio tramandato da Tucidide suonano ancora attuali guardando a questa Medea di Von Trier, e per Ellade s’intenda lo spazio del mondo e il tempo della Storia degli uomini.
Medea è il mito per antonomasia, come Edipo, dunque con il poeta, che del mito è il Gran Sacerdote, bisogna confrontarsi.
Il poeta sceglie i suoi strumenti, li plasma, e sono le parole, le note di un pentagramma, i colori stesi su una tela, il marmo che prende forma.
O le immagini in movimento, che scrivono muovendosi.
Il cinemato-grafo.
Per Von Trier c’è innanzitutto il colore virato, ottenuto girando in video e poi trasferendo in pellicola e di nuovo in video.
L’effetto Dreyer, suo gran maestro, è assicurato, c’era a monte uno script unfilmed del grande vecchio, stando alle parole di Lars si realizzò perfino una "costante comunicazione telepatica" con Dreyer durante le riprese, dunque normale che, vedendo Medea, in certi momenti sembri di vedere il suo Giovanna d’Arco.
"Perché le donne devono sopportare così tanto? Senza parole sottomesse nel corpo e nelle azioni. Quali diritti hanno le donne? "
Von Trier punta sulla femminilità negata, priva Medea di ogni segno distintivo, l’avvolge tutta di nero, si vedono solo viso e mani.
Medea è morte già prima di portare a compimento la sua vendetta.
Glauce, figlia di Creonte e nuova sposa di Giasone, è vita, giovinezza, alias bellezza, alias dolcezza, come il suo nome, glucùs, dolce.
La vediamo nuda, circondata da ancelle o seduta presso una feritoia del suo palazzo buio, dagli spazi claustrofobici.
La sua bellezza sarà negata, la giovinezza distrutta, il maleficio nel mito è una corona avvelenata che la uccide, oltre il mito è la bramosia di Giasone, che ama il potere e il suo corpo.
“Non ci sono parole per me” gli dirà Glauce.
Un imbelle, Giasone,l’eroe che la Grecia creò per contraddirsi e ridere di sè. Non erano solo Achille e Odisseo i suoi eroi, c’erano anche piccoli opportunisti, parassiti sociali, gente come questo poveraccio che dalla conquista del Vello d’oro in avanti ha seminato solo guai e morte.
Neanche su sè stesso riuscirà a far giustizia.
Von Trier è stato magistrale nel rappresentarlo dopo la morte dei figli, smarrito, perso in una selva di sterpi spinosi, incapace di alcunchè, perfino di uccidersi, capace solo di perdere i sensi in mezzo all’erba alta spazzata dal vento.
Gli fa volare gli avvoltoi sulla testa, speriamo lo divorino presto.
Medea si allontana sulla nave di Egeo, scendono vele nere che sbattono contro la macchina da presa coprendo la sua immagine, seduta sulla tolda in una fissità vuota.
Sarà l’unico momento in cui la vedremo tornare donna, quando scoprirà la lunga chioma castana che il vento le gonfia.
Non è più moglie, ha compiuto la sua vendetta, nè madre, si è riappropriata del frutto del suo ventre, i figli, che con variatio molto interessante vengono impiccati, non pugnalati.
Non c’è sangue che contamini lo sguardo e la loro immagine a distanza, sulla sommità di un’altura fiorita, immersi nella luce, è quanto mai cristologica.
Ora Medea torna ad essere donna, un’unità lacerata che si ricompone.
Cambiano colori e atmosfere nel corso della vicenda, che l’ambientazione nello Jütland favorisce con le sue brume misteriose, paludi e laghi immobili a perdita d’occhio, lande spazzate dal fischio del vento, interni bui illuminati da squarci di luci di lanterne o fuochi.
Nel finale, la catarsi tragica solleva il mondo verso la luce, un’illuminazione diffusa, estiva, accecante, che contrasta drammaticamente con l’albero spoglio, secco, privo di linfa, da cui pendono i due corpicini.
Magia di saghe celtiche e suggestioni del mito classico creano una fusione felice di suoni, immagini e movimento.
E' la Medea di Euripide ma è anche una norna di favole nordiche, acqua e aria, terra e fuoco sono gli elementi primordiali di tutte le saghe mitiche e creano qui una scenografia di grande eleganza visiva, danno voce ai simboli e piacere allo sguardo, il grande mito di Medea continua e si rinnova ed è sempre sè stesso, dal giorno in cui Euripide sfiorò i segreti più oscuri e profondi dell’animo femminile, con orrore e spavento. ma anche con profonda pietà.
“Ogni donna è una straniera che viene da lontano.Ogni madre può essere Medea”
(M.G.Ciani, Conversazione su Medea per la messa in scena al Teatro Greco di Siracusa, 2009)
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