Regia di Kurt Wimmer vedi scheda film
Un'emozione..,spara !
Semplificando, si potrebbe dire che “Equlibrium” sia il fratello minore di Matrix, il figlio inetto di “Fahrenheit 451” e il nipote di terzo grado di “1984”. Più ispirato al primo che agli altri (sia alle fonti letterarie che cinematografiche), ne diluisce le tematiche distopiche in un bignami sincretico e asettico, come i personaggi che ne popolano l’immaginario.
Il promettente incipit, fino alla palese riproposizione di una famosa sequenza del film di Truffaut (lì rogo di libri, qui di un famoso dipinto), è senz’altro banalizzato dalla mancanza di pathos (un’emozione ?) ma non disprezzabile in toto; purtroppo, una volta perse le sicurezze “ripropositive” (la veloce conclusione del rapporto Preston/Partridge), la sceneggiatura vira verso un vuoto versante action poco stimolante. E, se poteva risultare interessante l’idea di una tecnica di combattimento denominata “Kata della pistola”, la sua resa pratica risulta invece meccanica, non aiutata da effetti speciali posticci e da coreografie derivative e pacchiane (a parte, forse, quella finale col Padre “putativo”).
La trama e la sceneggiatura, poi, da un’idea non malvagia (la soppressione “chimica” delle emozioni per vivere [apparentemente] in pace), accumula banalità a profusione e “buchi” più o meno enormi: il più evidente, la circostanza che nessuno si accorga della progressiva trasformazione del protagonista da rude guardiano del sistema a ribelle “emozionale”, nonostante questa appaia palese sin dall’inizio (senza aspettare il successivo salvataggio di un ribelle o di un cucciolo [sic!]), in un organismo sociale basato sulla delazione continua e su controllori attentissimi, talmente onnipresenti da far invidia agli apparati della ex DDR o del fascismo (tra l’altro, alcune scene sono state girate all’EUR). La tecnica registica di prammatica, inoltre, ossessiva nell’esaltazione dei toni cupi della fotografia “berlinese”, rappresenta anch’essa un cliché poco invitante; in coda, anche gli attori impiegati, sulla carta promettenti (Christian Bale, Sean Bean, Emily Watson), appaiono invece spaesati e poco passionali (forse per un’eccessiva adesione al plot).
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