Regia di Kurt Wimmer vedi scheda film
Equilibrium è un film che alterna ritmi d’azione frenetici con acrobazie alla Matrix con pause descrittive e riflessive che non annoiano mai. Il titolo pur riferendosi ad un’istituzione fantapolitica che non voglio anticiparvi, rende anche l’idea del quasi perfetto assemblaggio di tutti gli ingredienti del film, che soffre solo di alcune incongruenze, che sembrano tali allo spettatore attento, ma che alla fine troveranno la loro ragione di essere, nella rivelazione finale, che se non sorprenderà quelli più smaliziati e dotati di ottima memoria, non deluderà i più. La sceneggiatura infatti, pur attingendo a molti film del genere postapocalittico e di governo politico autoritario che sopprime i sentimenti umani in nome di un omogeneizzante e vegetativo pacifismo di massa, presenta vari colpi di genio, invenzioni tecniche, varianti ad effetto, dinamismo e tratteggio di alcuni personaggi, che lo rendono comunque nettamente distinguibile dagli altri e con una sua caratura di tutto rispetto. Alcune scene sono veramente molto efficaci e rimangono impresse suscitando emozioni nello spettatore, le stesse emozioni che nel contesto filmico sarebbero reati perseguite duramente fino all’eliminazione fisica per cremazione. Desta impressione e parrebbe un’esagerazione degli autori la pretesa che nel contesto descritto sia vietato tutto ciò che potrebbe destare emozioni, praticamente tutto ciò che per un qualsiasi essere umano è essenziale alla vita per renderla degna, tranne quanto occorre per le funzioni fisiologiche di sopravvivenza. Il ché comporta chiedersi di cosa vivano gli esseri umani in un futuro tanto tetro e arido, ed è forse la nota dolente del film, ma che in parte si spiega con l’obbligo di iniettarsi ogni giorno una fiala di uno psicofarmaco che si presume molto potente ed efficace, che agisce rendendo i soggetti passivi, come un gregge, ma non incapaci di agire. Altrimenti non si spiegherebbe l’estrema abilità ed agilità degli “uomini in nero”, che sono il corpo d’élite di repressione per conto della struttura di potere, il cui compito è appunto stanare coloro che non prendono quotidianamente il farmaco dell’obbedienza e i combattenti della resistenza. L’unico dubbio che sorge nello spettatore attento è che senso abbia da parte della resistenza, cercare di eliminare quello che sta ai vertici della struttura di potere, che si fa chiamare “il padre”, se lo si capiva fin da subito che era una figura virtuale, digitalizzata, e che quindi potrebbe essere sostituita in qualsiasi momento dagli stessi che l’hanno concepita e la manovrano a loro piacimento. Se era l’assalto al palazzo ciò che contava, tanto valeva farlo fin da subito alla vecchia maniera. Ma queste sono valutazioni che non attribuiscono alcuna colpa agli autori del film, che avevano altri scopi simbolici, comunicativi e commerciali, e credo li abbiano conseguiti realizzando un film più che dignitoso ed efficace, che non sfigura nel confronto coi migliori del genere.
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