Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Europa è l’atto finale della trilogia E, iniziata con L’elemento del Crimine e proseguita da Epidemic.
1945: Leopold Kessler, ragazzo d’origini tedesche cresciuto negli Stati Uniti, torna in Germania appena dopo la fine della guerra. Trova lavoro come controllore di un vagone letto e conosce Kate Hartmann, figlia del proprietario dell’impresa ferroviaria Zentropa. Nella Germania distrutta si muovono i Lupi Mannari, gruppo terroristico di “resistenza” nazista.
Ad Europa si accompagna un terzo manifesto del regista, dove evoca la carnalità del suo rapporto col cinema e si proclama "semplice masturbatore dello schermo". Ed Europa, in forma ancora più estrema de L’elemento del Crimine, è effettivamente cinema puro, che ha come referente se stesso, le sue tecniche e la sua storia fatta di generi e di regole che nascono dalla trasgressione di vecchie regole; Von Trier si muove nel suo elemento aspirando ad un’unità e una chiusura autistica, conducendo un esperimento, attraverso quella che era allora la sua maggiore produzione, prevalentemente cerebrale.
Anche questo capitolo si apre con un’introduzione ipnotica, una cornice che permette la messa in scena delle macerie e del caos in una visione simbolica, estetizzante ed inconscia, in un bianco e nero che rappresenti un mondo in costante disfacimento. Von Trier non ricerca luoghi riconoscibili, ma zone buie, oscure, marce, il cui punto di riferimento è nel nome, spesso evocato: per sineddoche, Europa. Così ogni luogo diventa ugualmente insensato, ed il disegno globale una trappola, una cella finita e circolare, richiamata dal plastico della ferrovia presente in casa Hartmann.
Col procedere del film, con l’individuazione dei suoi temi, si fanno più evidenti le scelte stilistiche, esasperando nell’ipermelodramma il rapporto sensuale fra i protagonisti e immergendo nell’espressionismo le scene dinamiche e drammatiche legate ai complotti dei Werwolf. Come l’espressionismo concentrava le proprie ricerche sulle strutture spaziali, così in Europa si osservano scene attraverso squarci nei muri, assottigliando già le divisioni fra interno ed esterno, che verranno poi teatralmente omesse in Dogville. Lo spazio onirico non ha carattere realistico, ma puramente narrativo, ed ogni scena si fonde con le altre o è racchiusa, ingabbiata dalle stesse; ed è allora possibile che i binari si affianchino ed i treni si inseguano per consentire lo svolgimento di una vicenda divisa fra due carrozze parallele, o che dal finestrino del vagone si assista alla fuga di un’auto come montata e vista su uno schermo.
Von Trier fa in qualche modo della sua opera del ’91 un film già vecchio, nel suo radicale riferimento all’avanguardia degli anni ’20 e cristallizzando la sua chiusura sul mezzo cinematografico e la sua immagine, ma con la trilogia dà vita ad una preziosa enciclopedia formalista.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta