Regia di Lars von Trier vedi scheda film
Befrielsesbilleder è il mediometraggio (57’) con cui Lars von Trier si diploma nel 1982 alla Scuola di cinema danese. Se ha [in parte] ragione Tina Porcelli quando scrive, nel «Castoro» dedicato al regista, che quest’opera giovanile di Trier è «sgangherata, noiosa, finta», bisogna pur riconoscere al regista danese i bagliori di un talento assolutamente fuori dal comune. Stilisticamente, Befrielsesbilleder è impressionante, soprattutto se rapportato ai mezzi di cui può disporre un semplice studente di cinema. Il film, infatti, anticipa la precisissima cura formale che caratterizzerà i primi lungometraggi di Trier, in particolare L’elemento del crimine ed Europa. Se dal primo, Befrielsesbilleder condivide le atmosfere tarkovskijane – in particolare, quelle de Lo specchio e di Stalker -, del secondo anticipa l’interesse per le vicende storiche della Seconda Guerra Mondiale.
Befrielsesbilleder è infatti la storia di un ufficiale tedesco, Leo, che verrà tradito dall’amante Esther, e consegnato ai partigiani. Il film si suddivide in due parti: la prima, tutta girata in interni, e caratterizzata da tonalità rossastre – che donano un’atmosfera infernale, da vero e proprio girone dantesco -, e una seconda, interamente ambientata in un bosco, tutta virata sul verde opprimente e oscuro della natura. Trier lavora più sulle ambientazioni che sulla sceneggiatura (risolta in pochi dialoghi, per lo più in voce off), e si concentra sulle soluzioni formali, lavorando tanto sulla composizione dell’inquadratura, quanto sui movimenti della stessa – e, in particolare, sulle carrellate laterali. Soluzioni stilistiche molto ricercate, e sempre evidenti, che comunque trovano la loro ragione in un racconto altamente poetico e fortemente trasfigurato. Da ricordare, soprattutto, quella “elevazione”, tanto metaforica quando fisica, di Leo prima della morte, risolta attraverso una gru che permette al protagonista di “levarsi in cielo”. Una levitazione come ne Lo specchio, che segna, fin da subito, il confronto che il regista vuole instaurare (provocatoriamente) con il cinema del suo mentore, Andrej Tarkovskij.
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