Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Immagini di abbacinante ed "ingenua" bellezza, prive di compiacimento e dotate di una sublime spontaneità: questo è semplicemente Monica e il desiderio, caposaldo ispiratore per la Nouvelle Vague e narrazione schietta ma sognante del passaggio dall'immaturità alla consapevolezza. In mezzo ai risaputi contrasti fra natura e civiltà, sogni e doveri, povertà e ricchezza, Bergman inserisce un esercizio registico che non si mette in primo piano (lasciando spazio ai suoi amabilissimi personaggi) e si rende partecipe delle passioni e dei turbamenti di due adolescenti capaci di andare oltre le corrispettive fisionomie un po' sgraziate e un po' appesantite dalla vita per dare spazio completo al sentimento e a quel genuino affetto che li spinge a dirsi, il primo giorno che si conoscono, di amarsi in maniera totale e definitiva, pur dicendolo nello stesso modo in cui si direbbe qualsiasi altra cosa quotidiana. Il loro sogno di amore e di passione si traduce in una fuga dai drammi della realtà (che ritorneranno, spietati, prima nelle vesti di un geloso e poi nella continua immaturità di lei) a bordo di una barca che contiene il loro svezzamento e l'illusione, se vogliamo, di essere riusciti a trovare se stessi in qualcun'altro, nel suo corpo e nella sua dolcezza. Siamo di fronte, dopotutto, all'annosa questione della definizione di amore e di sentimento, e ponendo il discorso in rapporto alla presenza della Natura, non è impreciso puntualizzare come Bergman sia decisamente interessato a contemplare il risvolto istintuale che comporta simile gesto di fuga dalle proprie convenzioni: se il sentimento spinge a una spontanea fuga, la fame e le conseguenze del sesso (la gravidanza di lei) diventano risposte istintuali ancora più impellenti del reciproco affetto, tanto da sottomettere i bisogni del cuore. Se lo sguardo di Bergman rimane apparentemente esterno, semplicemente contemplativo, poi rivela che anche il suo sguardo è soggetto a quello stesso processo di maturazione che finisce per caratterizzare Henry, quando Monica guarda a noi spettatori negli occhi per mettersi in primo piano e rivelarsi per quello che è: il vero film, il soggetto per eccellenza, un oggetto d'amore che Henry e Bergman contemplano con lo stesso desiderio, ma che sfuggirà dalle loro mani anche se sarà sempre avvicinabile con il pensiero, con la cinepresa. Un primo piano, quello di Monica, straordinariamente eloquente, capace di rivelare il punto di vista del regista e il senso ultimo di una pellicola talmente universale e appassionante da trascendere qualsiasi contestualizzazione storica: non siamo lontani, infatti, dal candore e dalla levità di Città portuale, realizzato da Bergman qualche anno prima, e anche in questo caso la storia d'amore è semplice, immediata, lì davanti a noi, ma sempre carica di quel mistero drammatico che è l'impossibilità di conciliare istinto, ragione e sentimento (anche se in Città portuale la vicenda presenta un risvolto più ottimistico). Tanto risaputo quanto straziante, come tema, nelle ultime immagini che sono i ricordi di Henry di quando i due, Monica e il "desiderio" (proprio Henry) si amavano incondizionatamente e fuori da qualsiasi schema logico o "civilizzato".
Monica non crescerà, resterà sempre nella sua insolenza birichina, sempre interessata al presente e all'immediato, non più intenzionata a guardare al futuro, in continua ribellione anche gratuita con la realtà. E questo è il Cinema, o vorrebbe esserlo: quantomeno ciò cui esso aspira maggiormente.
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