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Effetto notte

Regia di François Truffaut vedi scheda film

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La recensione su Effetto notte

di OGM
10 stelle

Un film che smitizza il cinema come arte elitaria, ritraendolo, invece, come un mestiere difficile, la cui impostazione ideale si scontra duramente con la realtà; cineasti e attori non sono serafici partecipanti ad una magica opera d'ingegno, bensì, più prosaicamente, persone sotto stress, spesso insicure, talvolta fragili e instabili, attanagliate da problemi sentimentali e familiari. Un set non è come un palco teatrale, non è il regno esclusivo e riservato della recitazione, ma è, invece, un luogo qualunque affollato di gente, dai ruoli molteplici e confusi, dove i tirannici protagonisti sono il ritmo narrativo e l'azione drammatica, ed ogni imperfezione è impietosamente catturata ed evidenziata dal gelido sguardo della cinepresa. Girare un film è un'impresa non tanto creativa quanto organizzativa, nella quale le voci da armonizzare sono il piano di lavorazione, le aspettative della produzione, la disponibilità del cast e della troupe, il funzionamento delle attrezzature, e tutti i variegati aspetti strumentali della messa in scena. Truffaut sostiene e documenta questa tesi percorrendo la tormentata storia di un "making of" secondo un itinerario frenetico, irto di ostacoli ed intoppi, aderendo ad un realismo temporale, ricco di ripetizioni e ridondanze, inusuale nella cinematografia occidentale, e più caratteristico di quella asiatica. La sceneggiatura è priva delle frammentazioni tipiche del linguaggio cinematografico convenzionale, commerciale e non solo, che sintetizza e ottimizza, procedendo per istanti salienti, limitandosi ad indicare le principali tappe di un'evoluzione.
Truffaut adotta invece, nei confronti dello spettatore, la strategia del contatto diretto, della "full immersion", facendo sì che, a tratti, la prospettiva di lui, regista di "Effetto notte", si fonda con quella del regista di "Je vous présente Pamela" (da lui stesso interpretato). Allora, quando il film e il "film nel film" diventano una cosa sola, si compie quel paradosso logico che mette in crisi persino l'illusione: ciò che vediamo è simultaneamente "la realtà della finzione" e "la finzione della realtà", e, anzi, i due termini rimandano uno all'altro in un infinito gioco di specchi contrapposti. La presunta "leggerezza" del cinema, pur assecondata nel film da qualche concessione al gusto dell'aneddoto, del capriccio e della promiscuità, è smentita, nei fatti, dalla cronaca di un lavoro che è, al contempo, frutto di approfondimento intellettuale e di raffinati accorgimenti tecnici: ogni sequenza, per quanto breve e semplice, nasce da un'attenta preparazione, poggia su una sapiente architettura, si avvale di trucchi mirati, ma richiede anche, a fronte dei numerosi imprevisti, notevoli capacità di improvvisazione e adattamento. Nella teoria, ogni minimo dettaglio dell'inquadratura, sia esso un passo o una posizione delle mani, viene preliminarmente studiato. Nella pratica, tuttavia, il caos dell'esistenza sovverte i piani e obbliga a rifare tutto daccapo. È, precisamente, in questa constatazione, che la professione del cinema rivela la sua ambigua relazione con le cose della vita, e diventa un mondo in cui si pensa, si sogna e si soffre, in un acrobatico equilibrismo tra il presunto e il vissuto, che costringe a cercare conforto in una indefinibile complicità: in questo modo prendono forma quella "grande famiglia", in cui "tutti si danno del tu" e "tutti fingono", e "il mestiere in cui ci si bacia di più". Il risultato è un film "essere vivente" il cui destino segue, inevitabilmente, quello dei suoi realizzatori. D'altronde, se da un disordinato patchwork di fotogrammi e suoni sparsi, tagliati e rimontati, può scaturire un insieme plausibile e coerente, in grado di commuovere o divertire, far riflettere, piangere, o fantasticare, il cinema deve possedere un'anima vicina a quella umana. Quell'anima attinge alle nostre più profonde capacità di immaginare, di dare comunque un senso al tutto, senza le quali non potremmo formulare domande e dare risposte, stabilire collegamenti e concepire progetti, e, in definitiva, capire e costruire la nostra stessa esistenza, pur nella sua natura un po' folle e sconclusionata.

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