Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film
Effettivamente 'Alla gioia' (come L'inno di Beethoven) rende meglio l'idea di 'Verso la città', francamente pure un po' insignificante, se non contraddittorio (quando la coppia si muove dalla campagna verso la città succede l'esatto contrario della gioia: litiga e si separa). Un impianto solidissimo regge questo dramma decisamente bergmaniano, fatto di passione, sofferenza, morte, incomprensione e, incredibile incredibile, un enorme spiraglio che nel finale apre alla gioia sconfinata, quella che va al di là del bene e del male, dei fatti concreti, delle sensazioni momentanee. E' la gioia della musica, suono paragonato alle immagini di una vita felice, con una donna amata e due figli meravigliosi. Stig Ericsson è un uomo felice, semplicemente non vuole accettarlo. Il direttore d'orchestra ha un ruolo essenzialmente paterno, di severo educatore (altro punto fermo del regista svedese) che riconosce il giusto, ma non perdona il minimo errore; è inoltre un'opera virata con forza al maschile, non solo per la misogina figura del direttore, ma anche per l'evidente ruolo di primo piano di Stig rispetto a Marta, sebbene le vicende narrate riguardino entrambi dall'inizio alla fine del film. E' uno dei primi lavori di Bergman, ma già solidissimo ed efficace a livello di espressione.
Lui e lei, entrambi violinisti: una storia d'amore malvista dal direttore della loro orchestra, ma felice e stabile. Si sposano, nasce una bambina, dopo qualche anno un litigio separa momentaneamente i due, che presto si ritroveranno ed avranno un altro figlio. Poi, un giorno, lui torna a casa dalle prove e la domestica lo informa della tragedia: in sua assenza è esplosa la studa, la moglie è morta e la figlia è grave. L'uomo prende il violino e torna alle prove: l'Inno alla gioia lo riporta ai momenti gloriosi della sua vita, la musica colma il vuoto lasciato dalla moglie.
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