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Spasimo

Regia di Alf Sjöberg vedi scheda film

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La recensione su Spasimo

di Aquilant
8 stelle

In un certo senso “Spasimo” rappresenta il battesimo del fuoco per Bergman, vale a dire il suo sospirato esordio come regista. Essendogli stata rivolta l’obiezione di un finale oscuro ed irrisolto, l’allora giovane sceneggiatore decise di aggiungere un paio di scene ulteriori tra cui l’ultima in esterni in cui vediamo il giovane Kjellin, protagonista della vicenda, camminare nelle prime luci dell’alba in direzione di un futuro forse un po’ meno amaro. E data l’indisponibilità di Sjöberg, gli fu concesso di girare personalmente la sequenza in questione.

“Per me, Spasimo è una storia forsennata, un po’ brutale, sui tormenti della scuola e della gioventù.” Scrive Bergman. “Alf Sjöberg vi vedeva altri aspetti. Attraverso diversi artifici artistici tramutò la storia in un incubo. Inoltre fece del professor Caligola un criptonazista e impose a Stig Järrel di diventare biondo e insignificante, non nero e diabolico e con molte carte in mano da giocare. Alf Sjöberg e Järrel riuscirono a conferire a quel personaggio una tensione interna che fu determinante per tutto il film.”

Sjöberg tratteggia con mano felice una squallida realtà di interni disadorni dove le evidenti condizioni di precarietà materiale sottolineate dal contesto profilmico sono bilanciate dal calore di affetti che non arriveranno mai a totale compimento, determinando uno stridente contrasto la cui evoluzione andrà a costituire il vero motore della vicenda. Cupe ombre minacciose si addensano sui protagonisti quasi a preannunciare l’ineluttabilità di un dramma destinato a colorare di forti tinte il seguito di una vicenda governata da un fato posto al di sopra della dimensione umana, unico responsabile della cieca irresponsabilità del divenire, mentre ardite inquadrature dall’alto vanno a posarsi su interminabili scalinate poste in interni architettonici brulicanti di una giovane umanità irrequieta alla ricerca del proprio futuro e su misteriosi androni sinistramente illuminati e rivestiti di freddezza.

Tramite l’uso smodato di luci crude e taglienti di chiara matrice espressionista che si stagliano come da profondità misteriose in un cupo lividore notturno viene conferita una sinistra consistenza alle ombre amplificate, esasperate, rese simili a veri e propri incubi tesi a dilaniare la psiche umana, ad ossessionarla, a condannarla alla degradazione e ad una pazzia prevaricatrice,

Il regista arriva a distillare l’irrazionalità della paura ed il sostrato delle più recondite fobie in disgreganti immagini che riflettono l’essenza stessa dell’anima privata di ogni sua difesa, lacerata, violentata e ridotta all’estrema disperazione. Un punto di non ritorno evidenziato con estrema lucidità e stringatezza in una breve sequenza agghiacciante per la sua immediatezza e linearità, letteralmente destabilizzante per la sua imprevedibilità: la morte dell’anima che si fa morte corporale tra un crescendo di tensione e tra gli stridii di una musica cupa e lacerante fino allo SPASIMO che per tutto l’arco della vicenda sottolinea con efficacia i momenti di maggiore drammaticità agendo da perfetto contrappunto all’ansimare della bestia umana nell’ombra ed acuendo oltre misura la già torbida atmosfera dell’insieme.

Il merito del film va diviso in parti uguali fra lo sceneggiatore ed il regista. Se la paternità delle livide atmosfere espressioniste è sicuramente da accreditarsi a Sjöberg, a Bergman va conferito se non altro il merito di aver delineato, con una certa enfasi dovuta al suo giovane carattere, le conflittualità di chiara derivazione studentesca ed i contrasti interpersonali e generazionali tra genitori e figli.

Ma la figura del tirannico Caligola assume una doppia valenza nel contesto della narrazione: oltre ad incarnare il prototipo dell’educatore che non si fa scrupolo dell’uso della violenza verbale e materiale e della sopraffazione per i suoi propri fini, può essere vista come un grottesca caricatura di Himmler, allora comandante della Gestapo. Anche la pellicola si presenta sotto una duplice veste al di là dell’interesse che viene ad assumere ai fini della ricostruzione dell’itinerario artistico bergmaniano. Da un lato l’aspetto più propriamente legato ad ambigue atmosfere “mystery” mostra chiari influssi espressionisti e si richiama apertamente al film “Dottor Jekyll e Mr. Hyde”, soprattutto per quanto riguarda il rapporto persecutore-vittima, in linea comunque con un tipo di letteratura il cui capostipite indiscusso appare pur sempre Edgar Allan Poe. Dall’altro lato le ripetute sequenze ambientate nel contesto scolastico ci descrivono contrasti preesistenti all’epoca tra una generazione emergente di giovani liberi da ogni sorta di pregiudizio e desiderosi di scrollarsi di dosso nel minor tempo possibile i fastidiosi vincoli familiari allentando peraltro la rigidezza della società, contrapposti ad una vetusta classe educatrice oscillante fra un rigorismo esasperato ed una sorta di paternalismo non esente da remore e conformismi d’ogni sorta. E su tale aperto contrasto dicotomico tra aspirazione e prevaricazione si snodano gli elementi filmici di base su cui in un secondo tempo verrà inserita la componente più propriamente tenebrosa della vicenda.

E’ ovvio che se si prova a raffrontare questo più maturo e convincente “Spasimo” con “Kris”, il primo film bergmaniano, il paragone si fa impietoso per l’allora aspirante regista, ma bisogna considerare che tale opera rappresenta in un certo qual modo l’inizio di un prolifico e graduale cammino non privo di crisi, passioni, vergogne, silenzi e sarabande varie, ma indiscutibilmente denso di gratificazioni.

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