Regia di Tim Burton vedi scheda film
Oggi, specie sotto l'influenza di innumerevoli serial televisivi, è quasi di moda amare un freak, difenderlo ad ogni costo dall'intolleranza altrui, senza problematizzare né riflettere ulteriormente sulle cause sociali e primordiali di qualunque tipo di discriminazione, con un atteggiamento ipocrita e stucchevole di insistito vittimismo. Adesso, non si vuole negare il diritto del freak medio di essere difeso, né si vuole concedere il diritto all'intolleranza, ma ci sono modi e modi per mettere in scena simile problematica, appiattitasi così tanto da risultare superficiale. Qui entra in scena "Edward Scissorhands", la favola nera-gotica-rosa-(e chi più ne ha più ne metta) per eccellenza, il film di Tim Burton più riuscito e più straziante. Tenendo sempre occhio al cinema horror gotico d'autore del passato, da James Whale in giù, Burton realizza un novello Frankenstein/Kaspar Hauser, che dopo l'imbarazzo iniziale diventa la nuova moda di una cittadina mostruosamente robotica, che cova odio e repressione sotto colorate casette con giardino. Quasi una ricostruzione di qualsiasi tipo di città, quasi un agglomerato di edifici pieno di manichini e pronto per essere sottoposto a esperimenti atomici.
Arriva il diverso, e viene accolto nella casa di una promoter di prodotti di bellezza, moglie benevola e madre ottimista, pronta ad accogliere Edward (un indimenticabile Johnny Depp) nella nuova casa. Ma incapace di adattarsi e di farsi accettare come normale, Edward rimane trappola di alcuni stereotipi borghesi che la dicono lunga sulla supposta evoluzione civile della società medioalta e del suo ostentato benessere, senza che tutto suoni come una facile condanna da parte del regista. Infatti tutta la pellicola è permeata di un'atmosfera magica e onirica, e di una freschezza stilistica e formale che rende questo film uno dei più recenti capolavori della storia del cinema, commovente e incredibile.
Niente stona e niente risulta fuori posto, nella messa in scena di Tim Burton, che coniuga la leggenda con la triste verità, il sogno della tolleranza con una dura rassegnazione, la convinzione che la banalità dell'uomo, se non con l'amore, non può avvicinarsi all'infinità eccezionalità dello straordinario. Tra scene leggermente inquietanti (la morte di Vincent Price) e alcune pungenti e sarcastiche (l'interno della casa della bigotta), tra cespugli scolpiti e strane capigliature, il mondo di Tim Burton si esprime nella maniera più spettacolare e meno convinta di sé stessa (senza nulla togliere ad altri grandi film come "Il mistero di Sleepy Hollow"), lasciando questo film in una purezza e in un'innocenza che difficilmente vediamo al cinema da molti anni. Il commento musicale di Danny Elfman comunque parla da solo.
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