Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film
Nel 1967 PierPaolo Pasolini filtra le tragedie di Sofocle “Edipo Re” ed “Edipo a Colono” attraverso il suo pensiero e il suo stile cinematografico. L’Edipo pasoliniano si sviluppa in tre fasi: un prologo, il testo originale e un epilogo che hanno come filo rosso il destino scritto dell’uomo, la lotta per combatterlo e l’ineluttabilità finale. Una pietra con su scritto Tebe ci dà un riferimento preciso sull’origine storica.
In una città italiana (Bologna) degli anni venti una donna partorisce un bambino. In seguito mentre la donna gioca su un prato il figlioletto apre per la prima volta gli occhi sul mondo. Un giovane ufficiale dell’esercito è il padre del bambino e una didascalia ci dice che “egli teme che suo figlio sia nato per prendere il suo posto sulla terra…” conquistando l’amore della sua donna. Lo afferra per i piedi facendolo piangere…nell’antica Grecia un uomo porta un bambino legato a un palo per le caviglie. L’uomo è il servitore di Laio, re di Tebe e il suo compito è uccidere il bambino. Il servo invece lo abbandona sotto un sole rovente, un pastore lo raccoglie e decide di portarlo a Polibo, re di Corinto. Questi lo adotta con il nome di Edipo (colui che ha i piedi gonfi) insieme alla moglie, la regina Merope. Cresciuto Edipo viene a sapere durante una lite con alcuni compagni che è un trovatello. Tormentato da dubbi e incubi, egli comunica ai genitori adottivi di volersi recare senza scorta all’oracolo di Delfi. Qui da una voce femminile beffarda apprende cattivi presagi sul destino che lo attende, smarrito e turbato evita il rientro a Corinto. Le giravolte che compie lo portano sulla via di Tebe dove incontra re Laio il servitore e la scorta, provocato Edipo reagisce uccidendo uno ad uno gli uomini del re ed infine pure lui. Ripreso il cammino giunge nella predestinata Tebe dove incontra stuoli di persone disperate che si allontanano dalla città. Il messaggero spiega che ciò avviene per la presenza nefasta della Sfinge ed Edipo con facilità la sconfigge facendola precipitare nel vuoto. Il messaggero annuncia la fine delle disgrazie e l’arrivo di un nuovo re che sposerà Giocasta, la vedova di Laio (secondo quanto stabilito da una taglia). Insediatosi come sovrano Edipo beneficia delle grazie della nuova consorte e la profezia, a sua insaputa, si compie. Tebe comincia a d essere decimata dalla peste. Tutti chiedono lumi al re, il quale invia il cognato Creonte a Delfi. Il responso dell’oracolo rivela che gli dei sono in collera perché a Tebe si trova l’uomo che ha ucciso Laio. Edipo annuncia misure drastiche per trovare l’assassino, i morti però continuano ad aumentare. Il re convoca l’indovino Tiresia, il quale preferisce non dire l’amara verità ma minacciato e quasi percosso gli dice soltanto che prima o poi scoprirà di “essere fratello e padre dei suoi figli, figlio e marito di sua madre…”. Edipo reagisce male accusando Tiresia e Creonte di ordire un complotto contro di lui. Egli a sua volta interroga Giocasta per descrivergli Laio e poi il pastore che trovò “il figlio della fortuna” e soprattutto il servitore di Laio, l’unico testimone. Saputa definitivamente la verità Edipo rientrato a casa trova impiccata Giocasta e lui si autopunisce accecandosi con una spilla della madre. Uscito dal palazzo viene invitato dal fido messaggero a suonare il flauto. Ai giorni nostri entrambi vagano per una città, mentre Angelo (il messaggero) gioca con i piccioni, in una piazza Edipo tenta di suonare il flauto ma come il suo “avo” nei momenti di rabbia e impotenza si morde una mano e si alza chiamando Angelo e ricominciando l’inquieto vagabondare. Lo stesso accade all’ombra di una fabbrica, alla fine giungono su un prato verde alla periferia della città. E’ il luogo in cui Edipo aprì gli occhi sul mondo. “Oh luce che non vedevo più…che prima eri in qualche modo mia…ora m’illumini per l’ultima volta. Sono giunto. La vita finisce dove comincia”.
La Grecia del testo originario viene trasposta in un Marocco assolato e desertico, il terzo mondo come nuova avanguardia per fare da sfondo a una tragedia universale ed eterna. L’uomo è prigioniero del suo destino, Edipo dapprima “innocente e inconsapevole” cerca in tutti i modi con la forza, la violenza, l’inganno di sottrarsene senza riuscirci. Nel prologo ambientato nell’Italia sabauda e (forse) non ancora fascista il poeta nativo di Bologna mette in scena il suo complesso edipico (il padre ufficiale che non lo amò e viceversa). Lo stupendo epilogo vede un Edipo cieco e vagabondo, guidato dallo spensierato messaggero di nome Angelo, gira per una città industriale degli anni sessanta (sempre Bologna) tra l’indifferenza della gente alla ricerca di un po’ di pace e di se stesso. Il cerchio del suo destino-dramma si chiude su un prato, la dove tutto ebbe inizio. Pasolini plasma l’EDIPO RE con il primitivismo (ancora originale) del suo stile: primi piani, macchina a mano, asciuttezza nei dialoghi; si stacca dai canoni della tragedia greca per rappresentarne una sua personale visione. Alcuni personaggi minori parlano con accento meridionale denotando una diversità antropologica, sociale e linguistica. Anche la scelta del cast è orientata con quanto detto prima ed è coerente con la sua poetica cinematografica. Tra il professionale e il dilettantismo, lo sperimentale e il primordiale. Naturale e istintivo come l’Edipo interpretato da un ottimo Franco Citti doppiato da Paolo Ferrari (come in ACCATTONE), Ninetto Davoli perfetto messaggero candido e angelico. Il poeta Francesco Leonetti (servo di Laio) e Giandomenico Davoli (il pastore di Polibo). I talenti teatrali (allora emergenti) Julian Beck (Tiresia) e Carmelo Bene (Creonte). Le eccellenti e indimenticabili presenze di Alida Valli (Merope) dagli occhi espressivi e unici e la Giocasta di Silvana Mangano: enigmatica, sensuale, laconica alla quale basta uno sguardo, un’espressione per comunicare sentimenti, presagi e imminenti sciagure. Grande attrice. E infine le musiche di Mozart alternate a canti e spiritual tribali e popolari dalla varie anime. “EDIPO RE una tragedia antica e moderna” resa ancora più tale dall’irripetibile Pasolini.
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