Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film
Adattamento fedele (reso anzi più lineare sul piano narrativo) dell'opera immortale di Sofocle, con due interpreti in ottima forma (Citti e la Mangano) e, in varie particine, ruoli per Davoli, Carmelo Bene e Pasolini stesso. La metafora è eterna, e infatti il prologo e l'epilogo del film ricontestualizzano la morale della tragedia antica ai giorni nostri; la paternità è in fondo una sfida a sè stessi, nella coscienza di mettere al mondo qualcuno che, volente o nolente, dovrà sostituirci. Accanto a ciò, la considerazione del finale (la vita finisce dove comincia e viceversa) che richiama gli insegnamenti del cristianesimo, in effetti affini a quelli dell'opera per quanto riguarda l'idea di pietà - ovverosia il motivo per cui si compie la catastrofica profezia: il presunto assassino del piccolo Edipo lo lascia misericordiosamente in vita. La luce 'divina' (della conoscenza, della coscienza, della vita) viene tolta all'immeritevole, ma onesto Edipo, tramite la sua stessa mano. Un Pasolini meno complesso del solito, ma certo sempre una spanna sopra la lettura 'classica' del lavoro. Va anche detto comunque che troppi momenti di silenzio e alcune didascalie francamente superflue appesantiscono o infastidiscono la visione.
Il piccolo Edipo, figlio del re Laio e della regina Giocasta di Tebe, è al centro di una profezia catastrofica che lo vede uccidere il padre e giacere con la madre; viene così abbandonato da un servo nel deserto. Un pastore lo trae in salvo e, una volta cresciuto, Edipo pur senza alcuna volontà cosciente, compie effettivamente la profezia. A quel punto si toglie la vista e fugge in esilio.
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