Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film
Se c’è una cosa che mi ha colpito più di altre, nella trilogia dell’incomunicabilità di Antonioni, è l’equilibrio pressoché perfetto che c’è tra la rappresentazione dei sentimenti dei protagonisti e la cronaca dei principali aspetti socio-cultarali dell’epoca. Nel cinema del maestro ferrarese, infatti, il dato realistico non è abolito, tutt’altro: si pensi a La notte (1961), analisi penetrante della borghesia italiana del boom economico. La società italiana – con tutte le sue contraddizioni – è oggetto di analisi e denuncia, nella trilogia antonioniana. Eppure i film di Antonioni sono (giustamente) celebri per il modo in cui descrivono i sentimenti di uomini e donne innamorati. Ecco, la cosa che più mi sorprende è che Antonioni si serve della realtà – sempre a fuoco, in primissimo piano, mai mero sfondo – per penetrare ancora più in profondità dentro fatti interiori – vicende amorose, gelosie, solitudini. Per dire, il regista che ritengo il vero erede di Antonioni, Bruno Dumont, per raggiungere un simile rigore si è dovuto allontanare, di film in film, dal dato sociale, fino a realizzare con Hors Satan (2011) un’opera totalmente fantastica.
A differenza del regista francese, dunque, Antonioni crede che il contesto sociale in cui l’uomo vive abbia qualcosa di importante da dirci. Il film che, a mio parere, meglio esemplifica l’armonia fra realismo e modernismo (a tal proposito, consiglio la lettura del saggio di Hamish Ford comparso in questi giorni su Senses of Cinema) è L’eclisse: un film con momenti di cronaca pura (le sequenze della banca), eppure totalmente calato nei sentimenti della protagonista.
(Il profilmico e il contesto sociale vengono messi in risalto da Antonioni per descrivere i sentimenti dei protagonisti: il décor suggerisce allo spettatore che la relazione tra il borsista Piero e Vittoria, interpretati da Monica Vitti e Alain Delon, non durerà)
Antonioni è (giustamente) famoso per i décadrage, per il ritmo contemplativo, ma è soprattutto l’uso della soggettiva e del falso raccordo che marca la sua originalità. Nel suo cinema, infatti, il montaggio classico viene letteralmente strapazzato (siamo in pieno modernismo): se c’è un regista in cui il cut, lo stacco, è sempre significante, in cui la tecnica del campo-controcampo è utilizzata in tutte le sue potenzialità, questo è Antonioni (quarant’anni prima di Dumont!).
(Due esempi di "cut" tipico in Antonioni. Il primo stacco descrive un’ellissi narrativa che catapulta lo spettatore, e con lui la protagonista, all’appuntamento con il borsista interpretato da Delon: ma lo stacco descrive anche i pensieri interiori di Vittoria, che si era assopita pensando proprio a Piero. Il secondo raccordo, invece, lascia l’amplesso amoroso fra i due protagonisti fuori-campo, e lo sostituisce, significativamente, con un’immagine di un paesaggio vuoto, anonimo, un’altra immagine dalla doppia valenza, realistica e interiore).
Ebbene, in molte sequenze de L’eclisse lo spettatore non sa se quel che vede è un’inquadratura oggettiva oppure una soggettiva: il film, senza doversi allontanare dalla realtà, soltanto attraverso il montaggio, riesce a contaminare il mondo esterno della vita di tutti i giorni con l’universo interiore dei protagonisti. Nel cinema di Antonioni, la soggettiva è un’inquadratura oggettiva, e viceversa* – e questo è vero soprattutto per L’eclisse.
(Un falso raccordo significativo: Vittoria guarda qualcosa, lo spettatore si aspetta uno stacco sull’oggetto del suo sguardo, ma Antonioni, con un’ellissi narrativa, riprende invece la Borsa di Roma – un raccordo che fa assumere alle due immagini un forte significato simbolico: Vittoria è come se fosse dietro le sbarre)
Un altro aspetto significativo è come, col passare dei minuti, L’eclisse abbandoni sempre di più la cronaca per concentrarsi esclusivamente sulla storia d’amore fra Vittoria e Piero, calandosi in una dimensione totalmente interiore, che il décor, assieme al montaggio e al taglio delle inquadrature, contribuisce a creare.
(La metafora portante del film è la prigione: tutti i protagonisti sono in uno stato di costrizione esistenziale)
Il finale del film di Antonioni, “l’eclisse dei sentimenti”, porta a un punto di non ritorno questo procedimento di interiorizzazione del mondo concreto: in una sequenza sublime di sette minuti che anticipa l’ultimo cinema di Malick di cinquant’anni, la presenza umana scompare. Restano soltanto le cose, le strade vuote, il silenzio.
*Questa doppia significanza della realtà, quest’impossibilità di discernere fra oggettivo e soggettivo, sarà il grande tema dei capolavori Blow-Up (1966) e Professione: Reporter (1974).
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta