Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film
La vera protagonista di questo film è la metropoli estiva, assolata e desertica che pare non solo popolata da fantasmi, ma un fantasma essa stessa per prima; ripetute sono le inquadrature in campo largo che Antonioni utilizza per mostrare quanta solitudine, quanto senso di sconforto vaghino per le strade di un'irriconoscibile Roma. In tale contesto, le vicende di Vittoria, Riccardo e Piero non costituiscono che l'adeguato specchio umano del senso di disperazione e decadimento di cui l'atmosfera cittadina è pregna; perciò la sceneggiatura di Antonioni e Tonino Guerra (con la collaborazione di Elio Bartolini, come per L'avventura) non indugia più di tanto sui dialoghi o sulle azioni, preferendo instaurare un rapporto empatico fra il pubblico e la scena tramite una complessa, studiatissima serie di movimenti di macchina e inquadrature: ne L'eclisse come non mai nel cinema del regista ferrarese, è lo spazio a sostituire gli attori nel ruolo principale dell'opera. Lo stesso dicasi per le musiche, ancora una volta affidate a Giovanni Fusco e ancora una volta pesantemente mutilate, ridotte più che altro a effetti sonori e a qualche scheletrica cadenza di pianoforte. Ciò a rappresentare l'artificiosità del dialogo umano, a significare la mancanza di necessità addirittura del dialogo stesso; la Vitti in una scena lo dice esplicitamente: "Chissà perchè si fanno tante domande. Io credo che non bisogna conoscersi, per volersi bene. Poi forse non bisogna volersi bene". Il suo personaggio, Vittoria, è una ragazza confusa che ha visto da poco spegnersi (eclissarsi!) una storia d'amore in cui evidentemente credeva molto; per questo è delusa dagli uomini e dal rapporto di coppia in sè. A ben vedere, però, si tratta di un personaggio diversissimo, fin troppo razionale rispetto a quelli dei due precedenti capitoli della trilogia (dichiarata dal regista stesso), cioè L'avventura e La notte, in cui a uomini insicuri, dalla facciata forte e in cerca di stabilità si contrapponevano donne fragili emotivamente, tormentate dai dubbi eppure sempre e comunque elementi risolutivi del rapporto. Mentre ne L'avventura il punto focale dell'opera era la precarietà dei sentimenti e ne La notte la crisi del rapporto di coppia (semplificando parecchio, si intende), qui gli autori si soffermano maggiormente sul tema dell'incomunicabilità, che genera eclissi emotive, momenti di annebbiamento e di insormontabile confusione mentale che inevitabilmente inquinano le relazioni (non solo) sentimentali; la linea di continuità fra i tre lavori è evidente, ma, per carattere, mentalità e capacità di decisione - come rilevato sopra - è davvero difficile apparentare Vittoria alle precedenti 'eroine' (antieroine?) antonioniane. Molto più lineare sarà invece la discendenza di Giuliana, la futura protagonista de Il deserto rosso, in cui il discorso sarà aperto al tema della solitudine. Con una co-produzione italo-francese Antonioni realizza questo L'eclisse, come sempre confidando in pochissimi, ma noti volti (la Vitti, allora sua compagna di vita, Alain Delon e Francisco Rabal), confidando come nel precedente La notte nella fotografia di Gianni Di Venanzo (clamorosi gli squarci spettrali su un'agonizzante Roma estiva) e nel montaggio di Eraldo Da Roma, collaboratore fin dagli esordi. Fra tutti i film del regista è forse questo quello in cui c'è meno azione in assoluto: le due ore di durata sono indubbiamente pesanti; i sette minuti finali sono però qualcosa di agghiacciantemente meraviglioso. 6,5/10.
Vittoria, di famiglia benestante, lascia Riccardo; lui vorrebbe parlarne, capire di più, ma per lei non c'è nulla che si possa spiegare: il sentimento si è spento. Si riaccenderà però presto, per Piero, un simpatico agente di borsa.
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