Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film
Sembra il seguito ideale e ben più riuscito del monotono e mediocre "La notte" a conclusione della trilogia esistenziale iniziata con "L'avventura". Non a caso il film inizia proprio dove si era concluso il precedente. Vittoria, dopo una lunga notte di discussione, decide di lasciare il suo compagno Riccardo. L'uomo, come il protagonista de "Il grido" è incredulo, incapace di darsi una spiegazione. "Non mi ami più o non mi vuoi più sposare?" domanda alla donna; la insegue e la aspetta sotto casa, ma Vittoria ormai ha fatto la sua scelta, convinta che per ricominciare una nuova vita, per superare una fase di stanca, di noia, di routine monotona e ripetitiva sia necessario dare un taglio netto al proprio passato, pur essendo preoccupata per Riccardo, tanto che telefona ad un amico comune per raccomandargli di stare vicino all'uomo, sconvolto dalla loro rottura. Dopo questo incipit nel più tipico stile Antonioni, il film prende una direzione inattesa. Si piomba d'improvviso in una concitata e frenetica giornata di borsa, dove tutti urlano, scalpitano, giocano forsennati, alla disperata ricerca del modo più veloce e sicuro di fare affari. Non sembra neanche una scena di un film di Antonioni, tanto il ritmo è esagitato e veloce, anche se il maestro, ironicamente, riesce comunque ad inserire un minuto di silenzio per ricordare la morte di un operatore di borsa. In questo ambiente avviene l'incontro tra Vittoria e sua madre: quest'ultima, accanita giocatrice, però non si accorge del malessere della figlia, la saluta quasi con indifferenza, forse infastidita dalla sua presenza, incapace di capire che la figlia ha bisogno di un pò di affetto e comprensione, di quella complicità ed attenzione che a volte le donne trovano solo tra di loro. Solo l'incontro con Piero, affascinante e scafato uomo di borsa, sembra dare un'apparente serenità a Vittoria. Ma è solo un'illusione momentanea, una relazione passionale, superficiale e fisica destinata a durare lo spazio di una giornata. Poi arriva l'eclisse che riporta il buio sui sentimenti, mette in ombra ogni desiderio di gioia e fa ripiombare la donna nel più assoluto silenzio, alla triste realtà di una vita vuota e priva di stimoli. Antonioni gira sempre lo stesso film, ma questa volta può contare su una sceneggiatura asciutta, efficace e stringata, capace di inediti tocchi di ironia ("Come si dice in spagnolo posso salire su da te?" chiede Piero a Vittoria e la donna risponde "Si dice che non puoi"), molto attenta alle psicologie dei personaggi, in particolare riuscita è la caratterizzazione di Piero, uomo sicuro di sé, dongiovanni impenitente ed elegante. Evita inutili parentesi che appesantivano eccessivamente "L'avventura" e rendevano insopportabile "La notte", (anche se l'episodio con protagonista Marta, ragazza africana che vive di fronte a Vittoria e che attende ogni sera il ritorno del marito non appare del tutto funzionale, se non per giustificare uno scontato desiderio di fuga di Vittoria verso altri mondi, lontani e irraggiungibili), rinuncia, tranne nella prima parte, ai dialoghi troppo spesso ridicoli che caratterizzano i suoi films. Inoltre può contare sulla sensualissima coppia di protagonisti Vitti Delon, in autentico stato di grazia, capaci di trasmettere allo spettatore una carica erotica non comune, una fisicità rara nel panorama del cinema italiano di quegli anni. Forse è il film più digeribile e comprensibile della trilogia del maestro ferrarese, anche se la lunga sequenza finale dell'eclisse è comunque una bella sfida alla pazienza dello spettatore comune. In ogni caso una acuta riflessione morale sul degradare dei sentimenti umani, sulla loro debolezza, sull'implacabile destino dell'uomo ad essere condannato ad una duratura infelicità: un tunnel quasi senza uscita, in cui non c'è più spazio per l'amore. E la donna nei films di Antonioni sembra davvero essere l'unica consapevole e cosciente della umana condizione di disagio e solitudine. Sui titoli di testa Mina canta un suo scatenato hit, e anche questa è una sorpresa in un film di Antonioni. Gran Premio della Giuria a Cannes.
Voto: 7
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