Regia di Nicholas Ray vedi scheda film
L’abito è quello che la critica francese della “Nouvelle Vague” , nobilitandone il senso, definì “noir”, il corpo è quello della straordinaria coppia Bogart e Grahame ma l’anima de “In A lonely Place” tradotto brutalmente in italiano con “Il diritto di uccidere” sta tutta nella introspezione psicologica e nella dissoluzione dell’identità dei suoi personaggi. Siamo nei paragi temporali e spaziali di “Viale del Tramonto” e come Holden anche Bogart fa lo sceneggiatore ad Hollywood ma qui il cinema si fa metafora (ma non troppo) di una Società che castra ogni atto creativo alimentando il concetto di Paura e diffondendo paranoia e persecuzione esattamente come accadrà da lì a poco con il Maccartismo. Nicholas Ray partendo da un romanzo della letteratura Hard boiled trasforma,manipola e reinventa (finale compreso) l’omonimo testo di Dorothy B.Huges che diventa un viaggio visivo dove troneggia una straordinaria ed accurata fotografia e dove i personaggi sono disposti in spazi che gradualmente diventano — per enfatizzarne il senso claustrofobico — sempre più stretti ed angusti; come in un valzer ipnotico Dixie e Laurel volteggiano prima ispirati dall’umore dell’amore e poi si allontano perché in lotta con i loro demoni.Una corrente autodistruttiva che li porterà a perdersi per sempre disgregando la loro anima. Del resto a metà del film,l'epilogo della loro storia viene già annunciato dai dialoghi che lo stesso Dixie/Bogart scrive per la sceneggiatura alle quale lavora (la vita imita l'arte) “Sono nato quando tu mi hai baciato,sono morto quando tu mi hai lasciato;ho vissuto le poche settimane che mi hai amato”
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