Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
Ritratto generazionale scevro da qualsiasi autoindulgenza, feroce e sarcastico senza rinunzie alla comicità, il secondo lungometraggio (in 16 mm.) di Nanni Moretti è un album che raccoglie, in maniera magari un po' caotica ed ancora acerba, una vivacissima antologia delle istantanee che ritraggono una certa gioventù di sinistra degli anni settanta. Più che una vera e propria storia, nel film c'è un periodare vago e fumettistico nell'arco di sei mesi nell'esistenza di un nugolo di ventenni romani che ruota attorno alla figura del protagonista Michele (Nanni Moretti). Tra l'occupazione della scuola della sorella minore, la preparazione per gli esami di maturità degli amici più giovani ed i progetti per le vacanze, l'esistenza di questi ragazzi - che hanno smesso gli abiti da vitelloni per un più intenso maquillage da esistenzialisti - si cosparge di discussioni sulle comuni, i rapporti con i genitori e quelli di coppia, ed è nutrita da riunioni di autocoscienza. Ma su tutto aleggia un'ineffabile atmosfera di incomunicabilità, suggellata dalla scena finale con Michele e Olga (Lina Sastri), l'amica psicopatica, che si guardano ammutoliti. A soli venticinque anni Moretti regala al Cinema un'opera storica, spesso ingenua e discontinua, ma efficacissima nel trasmettere il senso di impotenza di una generazione. La sceneggiatura è memorabile, inzeppata da "gag" esilaranti come quella in cui il protagonista, riflettendo su se stesso, dice: "Mi faccio tristezza a me, figuriamoci agli altri" o come quella della ragazza che vive alla giornata rassicurando l'interlocutore nel suo lavoro con la frase: "vedo gente, giro, mi muovo, faccio delle cose"; quella in cui buca il pallone ad alcuni bambini sulla spiaggia ed infine le disquisizioni linguistiche sull'uso degli articoli, alla milanese, anteposti ai nomi propri ("Giovanni, non il Giovanni; Pannella, non il Pannella; fica, non figa"). Costellato da personaggi improbabili (il poeta improvvisato Alvaro Rissa o Mario, il depresso che telefona alla radio libera parlando sempre dell'amico etiope) e da cammei di noti intellettuali che tradiscono l'alto lignaggio del regista (il rocker Sandro Oliva, il massmediologo Alberto Abruzzese, il giornalista Giampiero Mughini, la scrittrice Nadia Fusini e lo sceneggiatore Age), Ecce bombo rappresenta anche un attacco all'istituzione del cinema che troverà ampio spazio nei suoi lavori successivi. Qui il regista romano si limita ad attaccare Alberto Sordi e Nino Manfredi. Amabilissimo per chi nelle contraddizioni di quella generazione si è riconosciuto, il film "non riesce ancora a trasformare (come Moretti saprà fare in seguito) la sua vitale aggressività e la sua disillusione da rabbia narcisistica in sofferta scelta morale" (Mereghetti).
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