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Ecce Bombo

Regia di Nanni Moretti vedi scheda film

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La recensione su Ecce Bombo

di LorCio
8 stelle

Ha ricevuto un’educazione “repressiva”, il giovane romano Michele Apicella, ventenne in crisi di rapporti e di coscienza. L’insoddisfazione, non troppo latente, si manifesta impietosa nel suo gruppo di amici (dice al compagno Mirko: “Io sono triste vitale, teatrale. Tu sei triste squallido”), tra un cineclub e un concertino rock, radio popolari e preparazioni di esami di maturità, sedute di autoanalisi e discussioni familiari. Costruito su una sequela di sequenze o di strisce quasi fumettische, Ecce bombo, primo vero film di Nanni Moretti dopo il Super8 di Io sono un autarchico, è il grido metaforico, ed anche acustico, di una generazione disillusa e persa in sé stessa, priva di riferimenti ed orfana dei bagliori della rivoluzione. La politica non è sempre affrontata di pancia, perché Apicella e company si rendono conto di non poter fare (o non vogliono fare) più niente di concreto per realizzare il Grande Sogno, per vedere sorgere il Sol dell’Avvenir. E allora si limitano ad andare in riva al mare e aspettare che il sole sorga, per “essere rivoluzionari nelle cose di tutti i giorni”. C’è anche una certa ironia nel rappresentare i miti e i tabù dell’ideologia rossa.

 

 

Ma, a parte l’argomento politico, risulta più interessante l’argomento più prettamente sociologico: Michele Apicella è un giovane che non sa cosa vuole fare della sua vita. Non sopporta praticamente niente e nessuno, ha da ridire su tutto, si comporta con la sorella come se fosse un padre (“Io alla tua età non avevo amici, non andavo in pizzeria”), non si può dire che apprezzi gli attori della commedia all’italiana (per lui, Nino Manfredi “è il più sfasciato di tutti”, e aggredisce un signore che aveva appena detto “rossi e neri sono tutti uguali” con quella ormai famosissima battuta liberatoria: “ma che siamo, in un film di Alberto Sordi?, è parecchio frustrato. È il più emblematico rappresentante di quel disagio generazionale che consiste nell’interrogazione del “Quando i miei non mi mantengono più, che cazzo faccio io?”, alla quale non sa darsi risposta. È uno che, nonostante la parvenza di saccente e presuntuoso, non si stima, che di sé dice “Sono fatto male, mi disprezzo”, e che quindi ha un blocco nelle relazioni. Ha qualche ragazza occasionale, ma con nessuna instaura un rapporto stabile.

 

 

E rimane misteriosa l’ultima scena: ad un certo punto i vecchi amici decidono di andare a trovare Olga, la ragazza schizofrenica conoscente di Mirko. Mentre si avviano verso casa sua, si perdono: chi a giocare a pallone, chi a mangiare, chi a ballare il liscio su una terrazza coi lampioni – una scena molto felliniana, osserva uno della compagnia – e l’unico che arriva all’incontro è Michele, l’unico che non ne voleva sapere di andarla a trovare. Come spiegarla, questa scena? Dialogo cult: “Ma tu, concretamente, cosa fai? Come campi?”, chiede Michele. “Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio cose…”, risponde la vecchia amica di Liceo. Fatto sta che il film – che nel 1978 rappresentò una ventata di aria nuova nel giovane cinema d’autore italiano –, pur imperfetto – d’altronde Nanni era un ventiquattrenne di belle speranze che avrebbe raggiunto una compiuta maturità solo anni dopo – è molto interessante come indagine beffarda ed umoristica sul mondo giovanile (da notare il curioso uso del linguaggio), comunque assai realistica. A suo tempo venne accolto come un film comico. Eppure è un disperato film drammatico che vede nell’ironia la propria ancora di salvezza: una commedia all’italiana.

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