Regia di Pen-Ek Ratanaruang vedi scheda film
Del cinema thailandese, in Italia, non si conosce praticamente nulla (a parte Le lacrime della tigre nera). Eppure, in giro per festival, alcuni nomi, non tutti meritevoli, hanno cominciato a farsi notare: i Pang Brothers (di origine hongkonghese, autori di The Eye), Nonzee Nimibutr, e, appunto, Pen-ek Ratanaruang, regista di quel 6ixtinin9 che ha raccolto numerose attenzioni (immeritate). Il suo Love Song costruisce una storia di ingenua discesa nelle paludi dell’arrivismo, con ritorno finale all’amore e alle vere belle cose della vita, intorno alla “look thoong”, la musica country locale, che l’innocente Pan vede come trampolino per una fama che, si accorgerà, è assai precaria. Meglio, dunque, rientrare tra le braccia della moglie, e vivere serenamente in povertà. Ma il problema non riguarda la cornice da favola, né il sentimentalismo o la retorica esasperati, perché ben conosciamo e apprezziamo i meccanismi poetici “differenti” del cinema orientale. È che Love Song, come tutto il cinema tailandese in generale, possiede un’elementarità d’approccio che resta chiusa in se stessa, senza avere il coraggio di “alzarsi”. E il turismo folcloristico è dietro l’angolo. Ciò non toglie che ci si possa anche divertire un po’.
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