Regia di Marco Tullio Giordana vedi scheda film
Occasione sprecata per sceneggiatura e alcuni attori che lasciano l'amaro in bocca. Si nota il tentativo di intrecciare le storie personali con quelle sociali, ma spesso è artefatto o stereotipato.
Un'opera di 6 ore non si può non approcciare mettendo la durata al centro del giudizio. Si può ammetterlo oppure no, ma - nel bene e nel male - se fai un film che dura come 3 film medio-lunghi, sai già che stai puntando su quello buona parte del risultato.
Il fatto di sviluppare la narrazione su una simile durata offre delle opportunità senza pari. Vorrei quindi cercare di separare il commento dell'opera in sè dall'"effetto durata". Mi sono quindi chiesto: che parere avrei espresso su questo film, se fosse durato un paio d'ore? Cioè, in altre parole, i contenuti, gli attori, la trama, in sè e per sè, che voto avrebbero meritato? Non eccelso.
Luigi Lo Cascio è bravo, e lo sa. Pure troppo, tanto che a volte gigioneggia. Gli altri a volte vanno bene, a volte meno, in particolare Alessio Boni, che non mi sembra dare spessore a un personaggio che comunque viene abbozzato troppo grossolanamente e finisce per compiere atti incomprensibili.
La cosa che più mi ha lasciato perplesso è stata la superficialità della dimensione psicologica dei protagonisti, nonostante il tempo dilatatissimo e spesso volutamente lento. I personaggi agiscono molto più come stereotipi che come individui, e lo spettatore deve "intuire" o "indovinare" cosa li muova. Scelte, spesso drammatiche e fortissime, avvengono senza che venga condiviso alcun meccanismo di riflessione: uno sta lì, rimugina 5 secondi con le mani tra i capelli, e nella scena dopo tutto è accaduto. Manca il dialogo o il monologo o l'evoluzione interiore che porti da A a B.
I protagonisti sembrano viaggiare sui propri binari, a prescindere dalla ragionevolezza, sensatezza, coerenza o comprensibilità dei loro comportamenti. Inoltre, e forse non è una coincidenza, i fratelli (e non solo) finiscono per essere tutti impiegati dello Stato: manca completamente una rappresentazione più ampia della società da altri punti di vista importanti. Cosa che, appunto, in 6 ore, avrebbe potuto essere approfondita.
Alcune vicende sociali sono state buttate dentro a forza e pretestuosamente. Un esempio su tutti: quello coinvolto con mani pulite che dovrebbe essere periziato per determinarne la salute mentale. Che c'entra? Sembra proprio una scusa qualunque per infilare la tematica in modo molto molto superficiale e raffazzonato, peraltro facendo leva su dei grossolani luoghi comuni.
Dell'Italia vediamo per lo più le crisi e i problemi, ma mai la crescita o gli avanzamenti. Per carità: sono il primo a ritenere che la storia patria sia per lo più un declino costante, però bisogna pur dare atto che, per declinare, da qualcosa bisogna anche partire. E qui il "buono" non si vede: solo tragedie e disgrazie. Inoltre, e forse qui nasce il problema, questa è la generazione dei c.d. "boomer", cioè i nati all'indomani della guerra: il loro tempo migliore è stato probabilmente proprio quello dell'infanzia, con un paese che godeva alcuni frutti di un conflitto pagato a caro prezzo. Però di quello scorcio: fine anni '40, e anni '50, non c'è nulla... forse per agganciarsi poi in una idealistica circolarità con le scene finali.
La passione è forse ciò che più latita: si fatica ad affezionarsi ai personaggi, vuoi per come sono descritti, vuoi per il distacco di prospettiva, vuoi per le scelte poco intuitive. "Bello senz'anima", si potrebbe definire questo film.
La fotografia e la colonna sonora lasciano a desiderare. Anche qui parlerei di occasioni sprecate: con i paesaggi e le musiche nazionali, francamente le scelte visive e sonore sembrano trascurare molto di ciò cui si sarebbe potuto attingere. Soltanto sul finale osserviamo un paio di scorci significativi, ma anche la riproduzione della Toscana lascia molto a desiderare. Mi basta pensare alla Bianca di Nanni Moretti per rievocare un tributo molto più pregnante e appassionato a una città e a una cultura, anche musicale. E non sono servite 6 ore. Una città importante come Milano è stata lasciata sullo sfondo (tranne qualche scena, appunto quelle di mani pulite, in cui peraltro non si comprende la trasferta del protagonista)... la Milano da bere? Non pervenuta. Così la stessa Roma, mostrata ma non vissuta. La Toscana un mero sfondo e la Sicilia poco più. Anche la lentezza dell'opera avrebbe potuto fungere da strumento di osservazione più dettagliata: qui penso, per esempio, al Caro Diario di morettiana memoria.
La visione lascia quindi l'amaro in bocca: questi personaggi che sembrano finire, un po' come il prezzemolo, dovunque sia accaduto qualcosa da raccontare della storia patria... e che, però, si perdono passaggi, periodi ed avvenimenti importantissimi. Non c'è grande atmosfera, non c'è partecipazione emotiva, e perfino la narrazione appare totalmente sproporzionata tra i vari periodi, con quelli finali pressochè improvvisati. Sarebbe stato forse più interessante approfondire la tematica del passaggio dalla dimensione collettiva a quella individuale, incarnata dagli anni '80, che hanno traghettato dalla lotta di classe dei '70 all'individualismo di fine anni '90, accelerato poi da Internet e dalla rivoluzione informatica. Sembrerebbe quasi che il regista abbia inteso descrivere un decennio o poco più (dalla fine degli anni '60 alla fine degli anni '70), e che il resto sia stato quasi appiccicato in coda in modo un po' fittizio.
Peccato, per un'occasione sprecata.
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