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Easy Rider

Regia di Dennis Hopper vedi scheda film

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La recensione su Easy Rider

di scapigliato
8 stelle

Si sa, a noi giovani, o in generale ad ogni spirito giovane, piace trovare i propri archetipi. Piace trovare le radici in un'opera creativa, vuoi un libro, un genere musicale, o un film. E "Easy Rider" da sempre è il simbolo di parecchi di noi, così come lo è Kerouac. Dennis Hopper, con una regia che sembra inciampare ma che in realtà riprende lo stile sperimentale del cinema diretto e dell’avanguardia underground dell’epoca, è allucinata e nervosa, racconta di uno stile, di un credo, di una fede, quella della strada, che come quella religiosa ha dei riti, dei dogmi, delle verità alle quali credere. Racconta, in modo sfrenato, della rude strada e dei suoi cow-boys. Infatti come leggere altrimenti molte soluzioni visive (come i due riders che in moto e con dietro la monument valley sembrano proprio a cavallo), e certe messe in scena (come l’accampamento intorno al fuoco, il drugstore che sa di posada, e appunto la Monument Valley). In più l'accostamento che il regista fa all'inizio del film tra i due riders che mettono a posto la loro moto, e i cow-boys che invece sistemano gli zoccoli dei loro cavalli, è un chiaro intento di parallelizzare il nuovo road-movie col vecchio western. Cambiano alcune cose, ma lo spirito è lo stesso. E il film-di-strada decolla. Ma evidentissimo, e apprezzatissimo, è anche l'aspetto sociale e polemico della coppia Hopper-Fonda (regista-produttore). I punti più alti di questa invettiva sono consegnati alla "scena del bar del profondo sud", dove sceriffo e meschini compagni di merenda punzecchiano i tre riders accusandoli di tutto, solo perchè portano i capelli lunghi, sicuramente bevono e fumano, e chissà cos'altro. Verrebbe voglia di invadere lo schermo e prenderli a calci nel culo quei fascisti. Ma ci pensa più elegantemente, e senza scendere al loro livello, il terzo rider, ovvero un bravissimo Jack Nicholson, quando dice: "Ah sì, è vero, la libertà è tutto, d'accordo, ma... parlare di libertà ed essere liberi, sono due cose diverse. Voglio dire che è difficile essere liberi quando ti comprano e ti vendono al mercato. E bada a non dire mai a nessuno che non è libero, perchè allora quello si darà un gran da fare a uccidere e massacrare per dimostrarti che lo è. Ah certo, ti parlano, e ti parlano, e ti parlano, di questa famosa libertà individuale, ma quando vedono un individuo veramente libero hanno paura". Il mitico dialogo tra lui e Hopper, non posso riportarlo tutto, ma è credo uno dei migliori manifesti cinematografici sulla libertà. Semplice, incisivo, e drammaticamente attuale. Questi due momenti, tra l'altro vicini, sono il cuore del film, anche se non si può non dire che una delle cose più belle del film sia la strada, con i suoi bellissimi paesaggi e una stupenda colonna sonora di fondo. Il finale, preceduto da una sequenza allucinta di imitazione underground, montata con molta malattia, quasi a preannunciare la tragedia, è un finale appunto tragico. Dal sogno alla delusione. Così si potrebbe descrivere la parabola di "Easy Rider". I due giovani e liberi (due aggettivi che oggi si riesce a dare con difficoltà), vengono bloccati, fermati, letteralmente inchiodati a terra, dal rigore. Dalla morale. Dal regime. Eppure da quel '69 (anno di Woodstock e di Joe Cocker) i riders sono cresciuti e aumentati, con o senza moto. Con o senza capelloni. Con o senza marijuana. Ma sempre con la strada nel cuore; e negli occhi l'ultima meta, ancora là...

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