Regia di Ron Clements, John Musker, Burny Mattinson, David Michener vedi scheda film
Uno Sherlock Holmes solo lambito (Basil centra e non centra con la creatura di Conan Doyle), al limite un Holmes “apocrifo”. Delicatezza e incisività insieme, per il 26° classico Disney in cui sceneggiatura e regia si comportano come si deve. Qualche goccia di CGI, prima che la Disney ne venga inondata.
Un bonario dottore appena giunto a Londra incontra l’indifesa Olivia e l’aiuta a conoscere l’investigatore Basil di Baker Street, che aiuterà la piccola a ritrovare il padre, Hiram Flaversham, rapito dal terribile Rattigan. Quest’ultimo, acerrimo nemico di Basil, ha intenzione di detronizzare la regina d’Inghilterra e dominare su tutto il suo regno.
Ufficialmente è la versione cartoonistica del romanzo “Basil di Baker Street”. Il grosso del lavoro lo fanno Eve Titus col contributo grafico di Paul Galdone, che rasentano ma non incappano nel più famoso romanzo di Arthur Conan Doyle, anzi lo omaggiano bypassando copyright e compagnia cantata, tirando fuori una godibilissima collana per ragazzi impernata su un topo che vive nel sottoscala di Sherlock Holmes. Il resto lo fa Disney, che inscena il suo 26° classico, confermando la tradizione di prendere il meglio della letteratura mondiale, tramutandolo, attraverso i suoi canoni classici, nell’ennesima meraviglia cinematografica.
Assistiamo ad una sorta di Sherlock Holmes apocrifo, in cui per emulazione il topolino che ne abita il sottoscala ne ripercorre gesta e dinamiche, contornandosi di personaggi similari, vestendosi alla maniera di Holmes, ragionando e talvolta delirando (funzionalmente) come lui. I temi della democrazia, della giustizia sociale, della lealtà (i classici buoni sentimenti che appartengono alla cosmogonia Disney) scorrono su una sceneggiatura che si fa notare principalmente per la scelta di affidarsi ad una continua inversione dei ruoli (i topi sottostanno al gatto, fino a che non giunge Ugo – un cane, il marchingegno che deve uccidere Basil e Topson si rivela un boomerang, l’automa che dovrebbe consentire a Rattigan di dominare gli si ritorce contro, sbugiardandolo pubblicamente), spesso dovuti a imprevisti e cambiamenti infinitesimali secondo il concetto del battito di ali di farfalla che si tramuta in uragano.
Sul piano formale, “Basil l’investigatopo” è emblematico di un’epoca della Disney, per taluni uno spartiacque evidente tra l’animazione classica e il cinema che verrà (la scena finale tra gli ingranaggi è una delle primissime in CGI). Per intanto è certamente un prodotto simbolo della sua epoca, aiutato com’è da citazioni (ed autocitazioni) che hanno la loro importanza (i tratti somatici ricordano i topini di “Bianca e Bernie”, il vampirello che assiste Rattigan ricorda Bartok, il pipistrello che ammireremo in “Anastasia”, perfino il doppiaggio è identificativo di un’epoca).
Un film delicato e potente, molto astuto negli intenti e decisamente riuscito sul piano dei risultati.
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