Regia di Edmond Budina vedi scheda film
Edmond Budina, una delle voci più importanti nella vita artistica, politica e sociale dell’Albania (ha allestito gli spettacoli più trasgressivi, è stato vicedirettore dell’Accademia di Arte Drammatica a Tirana ed un punto di riferimento nella rivolta degli studenti al regime comunista), oramai da nove anni è arrivato nel nostro Paese, è diventato adesso cittadino italiano e fa l’operaio assemblatore di turbine idrauliche in una fabbrica a Bassano del Grappa. La sua è una delle poche felici (?) storie di immigrazione di un popolo che ha scelto la nostra terra come paradiso ideale mentre la tragica, dura e commovente "odissea" che il regista Budina ha deciso di raccontare in Lettere al vento è lo specchio più fedele di una realtà che l’autore conosce bene e riesce a sviscerare dall’interno. La storia di Niko nell’Albania dei nostri tempi, cinquantenne e disoccupato che vive con i soldi che gli manda suo figlio Mikel dall’Italia, dove è scappato via mare, è il freddo, visionario, essenziale ritratto della dignità di un uomo e di una popolazione che nelle sue tante sfaccettature esprime (meglio di qualsiasi altra effettistica cronaca giornalistica od immagini accompagnate dai soliti retorici commenti!) l’anima e la forza di un’umanità tragica, reale, assurda e "fantastica". Lo stesso Niko decide di partire per l’Italia (da tempo non riceve notizie dal figlio e sembra che sia diventato un malavitoso della mafia albanese) in un viaggio della speranza triste e doloroso e che Edmond Budina (regista ma anche interprete nel ruolo di questo padre) racconta senza toni pietistici e con una intensità straziante di primissimi piani necessari ed atmosfere sospese tra la magia ed il più schietto realismo. E le Lettere al vento sono le parole scritte, le buste di plastica, la sporcizia e la polvere che nelle strade di Durazzo o Tirana un vento improvviso solleva avvolgendo le città in un’atmosfera irreale dove anche il passaggio onirico di un carro armato, con sopra un lunghissimo velo da sposa, diventa l’immagine poetica e simbolica di un popolo mai domo e di un dolore profondo che nasce dalle viscere dell’uomo.
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