Regia di Danny Boyle vedi scheda film
Londra completamente deserta e cosparsa di rifiuti, come in un incubo (o come all’alba di un primo gennaio, dopo i bagordi del 31 dicembre). Solo un poveraccio, un ragazzo che veste ancora i panni del ricovero ospedaliero, si aggira incredulo per i luoghi canonici della città; non sa che un’epidemia di rabbia ha annientato il paese e cerca tracce dei suoi simili. Ma forse è meglio non incontrarli. Si apre così, dopo un breve antefatto, 28 giorni dopo, il nuovo film diretto da Danny Boyle su un soggetto dello scrittore Alex Garland: era loro anche il disastroso The Beach, ma qui il costo piuttosto basso, l’assenza di ambizioni hollywoodiane e l’aria di casa (anche come riferimenti culturali e cinematografici) hanno fatto bene al film, che è stringato e suggestivo. Giocando bene con i colori astratti e leggermente annebbiati delle riprese in video digitale (scelto appositamente per rendere un panorama post-apocalittico), Boyle e Garland costruiscono un moderno apologo di fantascienza che ha poco da invidiare ai classici B movie del passato: un gruppetto di sopravvissuti assediati dalle orde dei loro simili rabbiosi, le incursioni tra i pericoli della città devastata, la fuga verso il Nord su un vecchio taxi alla ricerca di una zona protetta dai militari. I rimandi sono espliciti, rigorosamente nazionali e voluti: i romanzi di James G. Ballard e di John Wyndham (l’autore di I figli dell’invasione, da cui fu tratto Il villaggio dei dannati), una certa aria di barbarie istituzionalizzata che viene dritta dalla ferocia di Il signore delle mosche di William Golding, quella sensazione dell’apocalisse sotto casa che era resa tanto bene nei film su Quatermass (soprattutto L’astronave degli esseri perduti di Roy Baker, che nella parte londinese il film richiama visivamente), un gusto della anti-utopia che è tipicamente britannico. Ottimi gli attori, per lo più giovani e poco noti (i più famosi sono Christopher Eccleston nella parte del maggiore e il corpulento Brendan Gleeson in quella del papà tassista).
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