Regia di Jeremy Saulnier vedi scheda film
Netflix da anni ha deciso di investire seriamente sull’action, specie se è di produzione americana, producendo sia grandi film dal costo perfino eccessivo, come The Gray Man dei fratelli Russo o quella cosa inguardabile che è Six Undergound di Michael Bay, che film con un budget ridotto come Tyler Rake, Triple Frontier o The Old Guard puntando anche a crearne versione al femminile (The Mother), quelle fumettose (Army of the Dead) senza lasciarsi mancare anche le action comedy (Red Notice).
Tra tutte queste opere si inseriscono anche le versioni a basso costo, senza star coinvolte e poco pubblicizzate (evidentemente il basso budget non necessitano troppe spese per il marketing) a cui si cerca di compensare alle scerse risorse con la passione e, soprattutto, con le idee.
Tra queste figura anche la recente Rebel Ridge, l’ultima pellicola di Jeremy Saulnier (Blue Ruin, True Detective, Green Room) film che adotta l’eterno topos dello straniero che arriva in una cittadina e viene vessato dalla polizia locale senza che si rendano conto di essersi messo contro la persona sbagliata, un format stravisto ma di cui riesce a sfruttare appieno la potenzialità cinematografica.
È Rambo, ovviamente, pur senza il reducismo e la componente drammatica dello stress post-traumatico (quando ancora non era stato diagnosticato) o del reinserimento nella società civile di persone addestrate invece ad uccidere, ma è anche e soprattutto Giorno maledetto (1955) dove Spencer Tracy, anche lui reduce ma della Seconda Guerra Mondiale e privo di una mano, arriva in una cittadina per svolgere un compito ma si scontra con la polizia locale che nasconde qualcosa di losco.
Un classico del cinema d'azione, quindi, ma vestino con i toni del film contemporaneo, molto alla Jack Reacher.
Saulnier, che conosce sia il cinema d’azione che quello più sofisticato, riesce a mescolare le due cose raccontando un intreccio molto tipico ma con una scrittura drammaturgica un pò più complessa, e scegliendo un ritmo narrativo piuttosto originale per il genere.
Non ha affatto l’ansia da prestazione, per così dire, e l’azione si dipana con grande calma, e dove ogni mossa è preparata con molta attenzione per un thriller che mescola l’action con la critica sociale, senza alterarne i meccanismi ma approfondendo certe tematiche politiche e sociali di una certa realtà americana.
Rebel Ridge gioca con il ritmo ma soprattutto con l'attesa, tradendo le aspettative dello spettatore fino a guidarlo all’interno di una storia che non è però quella che si aspettava. O lo è ma in maniera molto particolare.
Ovviamente l’action e il revenge movie sono comunque ben presenti ma il film è così tematicamente stratificato che dietro a una facciata alla Reacher si nasconde piuttosto una querelle su come tra gli anfratti della pubblica amministrazione si annidi la corruzione generata proprio dalli stesse leggi americana, soprattutto nelle contee più piccole e sperdute, lontane dal controllo di un governo centrale che presta ben poca attenzione alle piccole realtà dell’America più profonda, quei luoghi che, in mancanza di vere direttive, si governano autonomamente, anche attraverso un sistema omertoso di clientelismo legittimato dalla sopravvivenza e da un senso di responsabilità comunitaria.
Ma Rebel Ridge è un buon film non perché originale (non lo è affatto) ma perché è ben congegnato, ben girato e ben interpretato, sobrio e realistico ma estremamente efficace.
E, nonostante le premesse, il protagonista non è propriamente Rambo.
Pur ricevendo un addestramento militare ad altissimo livello nel corpo a corpo (è addirittura un addestratore) non è mai stato in battaglia e non ha mai partecipato a una rissa da strada, non ha mai colpito nessuno, se non in addestramento, e soprattutto non ha mai ucciso nessuno, inoltre è stato addestrato a evitare qualsiasi genere di violenza e ad agire in qualsiasi modo possibile per impedire che una situazione possa degenerare nella violenza in quanto esperto di de-escalation, ovvero gli è stato insegnato a risolvere qualsiasi genere di situazione senza ricorrere alla violenza se non come ultim(issim)a soluzione: se è meglio risolvere un problema in modo, la si risolve in un altro modo e se è necessario ricorrere a qualche compromesso, per quanto possa essere sgradevole, è comunque meglio di un scontro frontale ma, soprattutto, sapere quale battaglie dover combattere e quando invece è meglio lasciar perdere.
Abituati ai classici film d’azione con il protagonista veterano di una qualche guerra nel mondo e il corpo segnato dalle cicatrici, non solo fisiche, e pronto a menare le mani per far trionfare la giustizia è una piccola rivoluzione assai spiazzante in confronto della solita ipocrisia e ai luoghi comuni propri del genere.
Originariamente il ruolo del protagonista era stato affidato a John Boyega (Attack The Block, Star Wars, Pacific Rim – La Rivolta, Infranto) che aveva persino iniziato le riprese per poi abbandonarle uffcialmente per “motivi di famiglia” e, probabilmente, è stato anche un bene visto che il suo ruolo è stato preso da Aaron Pierre (La ferrovia sotterranea, Old, Genius, Brother e, forse, il prossimo Blade dei Marvel Studios) che risulta perfetto nell’enfatizzare l’autocontrollo e l’ imperturbabilità del suo personaggio.
Completano il cast un ottimo Don Johnson, AnnaSophia Robb, David Denman, Emory Cohen, Zsane Jhe e James Cromwell.
VOTO: 6,5
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