Regia di Yasujiro Ozu vedi scheda film
Un grande film, insolitamente amaro e pessimista, anteriore al periodo dei grandi capolavori ma non inferiore a questi.
Hitori musuko / Il figlio unico, girato nel 1936, è il primo film sonoro di Ozu, sceneggiato da Tadao Ikeda e Masata Arao insieme con il regista, e vi appare già ben delineato il tipico stile di Ozu, inimitabile nella sua stringatezza ma efficace nel rendere con sobrietà i sentimenti suscitati dalle vicende della vita nelle persone comuni, la costante della filmografia del regista.
La trama racconta del figlio unico, Ryosuke (interpretato da Shin’ichi Himori), che vive in un cittadina di provincia con la sola madre (Choko Iida) la quale con grandi sacrifici lo manda a studiare a Tokyo. Dopo diversi anni la madre lo va a trovare credendo che avesse un buon lavoro, ma scopre che Ryosuke gli ha taciuto di avere ora un misero impiego di insegnante serale, di essersi sposato e di avere un figlio di pochi mesi. L’arrivo inaspettato della madre provoca imbarazzo al figlio (un po’ come succede in Tokyo monogatari, ma visto con diversa angolazione) che non avrebbe voluto mostrarle la miseria in cui vive; la madre rimane colpita dalla situazione e, dopo un duro confronto, lo sprona a non darsi per vinto poi, dopo aver assistito a un gesto molto generoso del figlio verso la vicina di casa, rinfrancata ritorna al villaggio. Qui, parlando con una collega dell’umile lavoro che svolge, finge che il figlio abbia avuto successo, ma, rimasta sola le scendono le lacrime: è particolarmente significativa la scena finale in cui la madre, in un angolo desolato circondato da mura e un portone chiuso piange sommessamente, un’amarissima metafora della opprimente povertà che non dà speranza di uscirne.
Il tono del film è amaro, malinconico e insolitamente pessimista, l’atmosfera è quella di un dramma intimista lontano dalle commedie che Ozu dirigeva prevalentemente in quel periodo. Il regista è impietoso nel mostrare le disagiate e meschine condizioni di vita delle classi subalterne costrette a lavori sotto remunerati, semplicemente mostrando senza enfasi gli ambienti in cui queste sono costrette a vivere, casette in desolate vie di periferia circondate da campi incolti e da opifici fumanti, prive di servizi pubblici. L’implicita critica verso una società ingiusta ed una politica indifferente è resa pungente da una resa visiva realisticamente obiettiva, quasi documentaria, priva di sottolineature.
Uno dei pregi dei film di Ozu è la recitazione, alla quale era molto attento: nella scelta anteponeva il rapporto personale con loro alla bravura conclamata per cui preferiva lavorare ripetutamente con quelli che conosceva bene, spingendoli a trattenere più che a enfatizzare. Il figlio unico è un esempio di ciò: l’ottima Choko Iida (spesso utilizzata da Ozu) e il bravo Shin’ichi Himori sono impeccabili ed intensi senza andare sopra le righe, in una parte secondaria Chishu Ryu, l’attore preferito di Ozu, rende efficacemente il personaggio del professor Ookubo, gli altri interpreti sono tutti all’altezza.
In conclusione, lo ritengo un ottimo film e mi rammarico che i film di uno dei più originali registi siano poco conosciuti dal grande pubblico.
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