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Figlio unico

Regia di Yasujiro Ozu vedi scheda film

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La recensione su Figlio unico

di maurizio73
7 stelle

Classico shomin-geki del primo Ozu, è un dramma familiare dal sapore autobiografico che si tinge di un mesto disincanto sociale nella descrizione di una provincia rurale povera ma dignitosa e del faticoso cammino verso il progresso economico di una urbanizzazione forzata fatta di rovesci della fortuna e squallide periferie industriali.

Fileranda vedova di una remota provincia del Giappone, con enormi sacrifici personali, manda il figlio a studiare a Tokyo. Gli farà visita 12 anni dopo, ritrovandolo già sposato, padre di un bimbo e modesto insegnante part time in una scuola serale. Quando l'uomo si dimostra generoso e solidale con una vicina di casa in difficoltà però, l'anziana donna capisce che i suoi sacrifici non sono stati vani.

 

locandina

Figlio unico (1936): locandina

 

Mio figlio professore...secondo Ozu

 

Un classico tra gli shomin-geki del primo Ozu, questo dramma familiare dal sapore autobiografico (anche l'autore visse separato dal padre che si trasferì a Tokyo per lavoro) si tinge di un mesto disincanto sociale nella descrizione di una provincia rurale povera ma dignitosa e del faticoso cammino verso il progresso economico di una urbanizzazione forzata fatta di rovesci della fortuna e squallide periferie industriali. Emergono già i temi cari all'autore che anticiperanno la separazione familiare del dopoguerra di Viaggio a Tokyo, la centralità dei valori tradizionali ed uno scontro generazionale nell'esortazione al progresso personale in cui la delicatezza dei toni sovrasta l'implicito didascalismo del soggetto, forte anche di una contabilità demografica che rimarca l'esemplarità della storia: il figlio unico di una madre vedova della provincia destinato, come il suo vecchio maestro inurbato, a diventare il padre povero di molti figli nella desolata periferia dormitorio di un irraggiungibile successo economico. Già alle prese con l'efficientismo della produttività degli studios Shochiku (che proprio quell'anno passeranno da Kamada a Ofuna) e quindi con un genere già molto codificato, il maestro giapponese raffina ulteriormente il suo personale stile regististico attraverso un proverbiale prosciugamento della grammatica filmica fatta di piani fissi, dialoghi improntati alla colloquiale semplicità del quotidiano e soprattutto una accurata composizione della scena in cui ciascun elemento rimanda all'immediato simbolismo di una commovente parabola umana: l'iniziale scena delle portatrici di seta traguardate dal primo piano di una misera lampada ad olio, il tran tran delle filatrici che marcano lo scorrere del tempo in una provincia votata ad una eterna immutabilità, il cielo di una Tokyo in costruzione inquadrato dalla soggettiva di un'automobile che conduce madre e figlio verso l'orizzonte di una rinnovata speranza di progresso, l'ironica contabilità di un maestro di matematica che fatica a far quadrare il cerchio della sua misera economia domestica, il portone chiuso che separa per sempre i doveri di una madre che non ha più nulla da chiedere dal destino di un figlio ormai consapevole del propri doveri sociali.

 

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Primo film sonoro per Ozu (che era restio a questo obbligato step tecnologico), omaggiato dal regista attraverso la scena della proiezione del film austro-teutonico Leise flehen meine Lieder, uscito in Giappone l'anno prima e basato sulla biografia del pianista Franz Schubert: maestro elementare dalla frustrata vocazione musicale e dal triste epilogo della sua tormentata vicenda umana. Nelle parole della studiosa Maria Roberta Novielli "Come primo film sonoro di Ozu, di Figlio unico ammiriamo la capacità di registrare il silenzio, di farne cioè avvertire la presenza con la stessa incisività dei dialoghi." ("Storia del cinema giapponese", Venezia, Marsilio, 2001). L'inesorabile scorrere del tempo asseconda la linearità di una pacata vicissitudine familiare che trova il suo acme in tre scene di grande rilievo emotivo e nella suggestiva immagine dei due protagonisti che si stagliano contro il cielo oscurato dalle ciminiere di una desolata periferia urbana, ripreso nella copertina dell'edizione Criterion Collection. Ozu ritornerà sul tema nel successivo C'era un padre, altro importante risultato dove però si avvicina pericolosamente alle istanze della retriva retorica nazionalista in tempo di guerra.

 

"La forza del legame tra un genitore e un figlio...è la causa di molte tragedie."

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