Regia di Steven Spielberg vedi scheda film
Cosa dire di un film che emoziona? Raccontare le emozioni che esso produce in ognuno di noi: le più disparate. Non è un caso che E.T. venga usato dai filosofi per esplicitare i concetti arcani dei sentimenti umani. È una storia universale, sulla solitudine, l’amicizia, l’amore, il bisogno degli altri, il mistero, la violenza psicologica, la paura del diverso. Sono personaggi soli, sia Elliott che E.T., che uniscono le loro solitudini per creare un’alchimia fantastica e necessaria. L’uno ha bisogno dell’altro per trovare il proprio posto nel mondo. Ma qual è il posto nel mondo dell’extraterrestre? È il posto immaginario che vive dentro l’uomo. Quello materiale, fisico, non è su questa terra, è altrove, lontano lontano. È troppo brutto questo mondo per un animo puro ed infantile come quello di E.T, troppo buono ed ingenuo per poter vivere in questa società malata. La sua funzione è quella di aiutare Elliott a trovare il suo posto nel mondo. Eccessivi i buoni sentimenti? Forse, ma chi se ne frega. È uno di quei film in cui sono indispensabili. Ma non è melassa, badate bene: è un’aurea serena che avvolge i due protagonisti, un clima di soave tranquillità che accarezza gli abitanti del film. Spielberg fa in modo che il film ti accarezzi dolcemente: rimani coinvolto, dalla stessa ai piedi, perché l’immedesimazione (almeno in alcuni di noi) è terribilmente totale.
Con la delicatezza di chi sa sognare, e al contempo la lucidità di chi sa che il sogno raramente si fa materia: il visionario incontra il reale, si mescola con elegante leggiadria, impartisce più di una lezione. Non ci fanno una bella figura gli uomini (anzi, gli adulti), rappresentati con cinica freddezza con le pistole in mano (ma un ventennio dopo avrebbe sostituto le armi con dei cellulari – qualche indulgenza dovuta allo scorrere degli anni e alla maturità?), come li raffigurerebbe un bambino un po’ semplice e un po’ inventivo. Il risvolto più bello è sicuramente quello sull’amicizia: che bello il primo incontro; che bello l’approccio; che bello il rapporto che si sviluppa tra i due; che bello (ma che strazio!) il gioco di sguardi alla presunta morte (una delle scene più struggenti del cinema degli ultimi cinquant’anni); che bella (anzi, bellissima) la poetica fuga alata in bicicletta; che bello (e quante lacrime versate, di mesta gioia) l’addio (“Io sarà sempre qui” indicando il capo, il luogo dei ricordi). Quanti ricordi… “Ohi, ohi”, per dirla alla E.T., in una delle sue espressioni più emblematiche: “ohi, ohi”: il capolavoro di Spielberg, attraversato dalla partitura indimenticabile del co-autore John Williams. Una meraviglia in cui si incontrano dolcezza e fantasia, sensibilità e paura, amore e memoria.
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