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Kabut Berduri - La nebbia sul confine

Regia di Edwin vedi scheda film

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La recensione su Kabut Berduri - La nebbia sul confine

di mck
7 stelle

Ho aspettato per quasi due ore la comparsa di almeno un frame che ritraesse un Pongo pygmaeus (orango del Borneo): sono stato deluso, ma non dal film in sé.

 

 

La repubblica democratica presidenziale {con le sue 700 lingue, idiomi e dialetti, dalla preistoria ai regni e gl’imperi etnici protostorici, dagli induisti, i buddisti e gli arabi al colonialismo portoghese e nederlandese sino all’indipendenza “percepita comunista” con Sukarno e Hatta, e poi il genocida (ri-messo in scena da Joshua Oppenheimer da "the Akt of Killing" a "the Look of Silence") Suharto, [...] Sukarnoputri [...], fino a Widodo e alla sua cazzo (?) di Nusantara}, islamica al 90%, dell’Indonesia (Jakarta), che estende il proprio arcipelagico dominio da Sumatra alla Papua-Nuova Guinea passando per Giava, Borneo (Kalimantan), Sulawesi (Celebes), Sonda (Bali, Timor) e Molucche, è un paese immenso che, attraversato longitudinalmente dall’equatore e trasversalmente dalla linea di Wallace, si estende, abitato da 280.000.000 di persone, per 5.500 km attraversando la linea dell’equatore da ovest-nordovest ad est-sudest, dall’oceano Indiano a quello Pacifico, dalle Filippine all’Australia. La monarchia parlamentare elettiva della Malaysia (Kuala Lumpur), ovvero lo stato federale multiconfessionale (per due terzi islamico) della Malesia, invece è lì, coi suoi 35 milioni di abitanti, ad occupare l’ultima propaggine a peduncolo della penisola indocinese d’oltre-Thaylandia e una striscia di terra nel nord del Borneo (Sarawak e Sabah, meno il Brunei). Il confine è nebbioso, perché il clima è tropical-monsonico, e permeabile [per contro il 38° parallelo coreano è lontano (¿non?) solo geograficamente].

 

 

Come il resto delle cinematografie industriali “terze” anche parte di quella indonesiana recente si affida a Netflix per la co-produzione e la distribuzione internazionale (si considerino “the Night Comes for Us” e “May the Devil Take You” di Timo Tjahjanto e “Monster” di Rako Prijanto, solo per fare un paio di esempi), e così il grande pubblico può - per caso, per algoritmo o per le ancor più misteriose vie del Prodigioso Spaghetto Volante - conoscere quelle latitudini e longitudini attraverso i loro film di fascia media: in questo caso si tratta del “Kabut Berduri” (1h50’, 2024), letteralmente "nebbia (fotografia di Gunnar Nimpuno) spinosa/intricata", delloramai ex (?) sperimental-avanguardista Edwin (nome-cognome senza patro-matronimico: “Blind Pig Who Wants to Fly”, “Postcards from the Zoo”, “Someones Wife in the Boat of Someones Husband”, “Posesif”, “Aruna & Her Palate”, “Vengeance Is Mine, All Others Pay Cash”), che lo sceneggia con Ifan Ismail e che si può “ridurre” ad un “Petra” innervato da qualche poliziesco carrugio na-bongiano (nel senso di Hong-jin e Joon-ho) e da qualche scorcio di macchia mediterranea – pardon: di foresta pluviale – pen-ek/apichatpongesco (nel senso di Ratanaruang e Weerasethakul): storie di “fantasmi” [l’essere appesa dell’ultima testa “parla” da sé: il film “non” si conclude razionalmente (lidentità "manifesta" dellAmbong rimane - per lappunto - nebbiosa) o, per lo meno, non si conclude punto, ecco] di attivisti comunisti e ambientalisti tagliatori di teste sino-daiacchi e para-cristiani.

 

 

Bella e intensa prova della protagonista Putri Marino (io ci proverei pure, ma è sposata con Chicco Jericho, detto Tafano, e lo si ben sa che a Chicco Jericko non gliela si fa), coadiuvata da Yoga Pratama (il collega detective, di etnia daiacca), Yudi Ahmad Tajudin (il reduce guardiano), Lukman Sardi (il superiore corrotto, capo della polizia locale), Niki Narendra (la malvivenza) e Nicholas Saputra (il filo-paterno cappio ombelicale con Jakarta, comandante di battaglione). Buone musiche di Abel Huray & Dave Lumenta.

 

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