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Play Time

Regia di Jacques Tati vedi scheda film

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Maurizio_Bauduino

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La recensione su Play Time

di Maurizio_Bauduino
10 stelle

Jacques Tati disciplina lo sguardo dello spettatore disabituandolo a cogliere la stratificazione simbolica di contesti, rapporti, stimoli sensoriali e atmosfere, mostrando piuttosto le lontananze, i distacchi, le incompatibilità nelle relazioni interpersonali, oggettuali e interoggettuali. I corpi sono colti nella loro atomicità ed impermeabilità rispetto agli spazi, questi a loro volta insuscettibili di modifiche da parte degli elementi (umani e non) che li abitano. Il regista opera quindi una reductio della realtà alle sue particelle geometriche; trasforma persone e oggetti in volumi e grandezze senza reciproco contatto (eccetto quello operato dalla gravità) e appiattisce le relazioni umane e il linguaggio in esse implicato a scambi rapidi, istantaneamente consumabili, di segnali acustici (puri fonemi) e gestuali. I 3/4 della pellicola sono dunque costituiti da movimenti intensivi di figure nello spazio (che mi ricordano il cinema di Cassavetes), linee di fuga che procedono indipendenti e le cui intersecazioni sono momentanee e finalizzate a ristabilire le loro traiettorie autonome. La gamma cromatica  delle immagini, inoltre, è funzionale all’ operazione di straniamento che si vuole attuare e, data la sua omogeneità, volta a creare una chiara associazione con l’anonimato, l’interscambiabilità e l’isomorfismo di costumi e pratiche di cui è impregnato l’uomo contemporaneo all’interno delle metropoli (Weber, Simmel e altri sociologi hanno speso parecchie parole a riguardo). Il tutto porta ad un’ organicità dell’immagine (il termine è eisensteniano) degna dei migliori lavori di Tarkovskij. La seconda parte del film corrisponde al titolo stesso della pellicola: ''Playtime''; essa mette in scena, dunque, una fuoriuscita dall’ordinarietà lavorativa, linguistica e relazionale: il linguaggio impersonale, protocollare della prima parte, che si confondeva al brusio esterno del traffico, diventa un tutt’uno con il ballo, la danza, la quale è qui espressione massima delle personalità, data l’assenza di sostituti verbali, semantici. Il ballo diventa energetico, ha a che fare questa volta con l’estensione e, quindi, con l’espressione: l’uomo investe energeticamente lo spazio, lo riempie e ne riassume il controllo (mentre prima erano gli edifici e tutta la materia inanimata a sovrastare l’uomo). Questo puro mondo di significanti sfocia infine in un’atmosfera carnivalesca (cfr. Fellini), dove l’anarchia motoria è segnale diretto della riconquista di uno sguardo caldo e vicino, di contatto autentico con la realtà, fino a trasformarsi in un’operazione trasfigurativa in grado di cogliere la poesia del quotidiano (lo Jarmusch di Paterson avrà avuto in mente questo film?) e di tessere nuove metafore originali, di istituire rapporti creativi e poetici tra le cose.

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