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Un lupo mannaro americano a Londra

Regia di John Landis vedi scheda film

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La recensione su Un lupo mannaro americano a Londra

di scapigliato
8 stelle

Un mostruoso gioiello mai invecchiato. Un film che balza dalla commedia brillante all’horror puro e pieno di sangue. La prima lunga scena dei due amici americani nelle desolate lande inglesi è un incipit antologico che ricorda i passi lenti e terrificanti delle atmosfere vecchia maniera. Infatti, come dice John Landis stesso, si voleva fare un film vecchio ma ricontestualizzato nella contemporaneità, ed ecco che il Mito dell’Uomo Lupo, rievocato anche grazie alle citazioni del film con Lon Chaney Jr. e Bela Lugosi, si riappropria del suo immaginario (sangue e smembramenti, triste dualismo da maledizione, lande desolate, vecchie osterie, luna piena), per approdare nella contemporaneità come nuovo archetipo (Londra, le luci della città, la metropolitana, la trasformazione in luce, il binomio sesso-violenza, il passaggio alla maturità fisica). Vengono così gettate le basi per i numerosi film successivi del genere. Infatti sia questo film di Landis che il coevo di Joe Dante, “The Howling - L’Ululato” sono i due film spartiacque tra l’Uomo Lupo classico e quello moderno.
Per poter combattere con i più famosi e affascinanti Vampiri, gli Uomini Lupo hanno dovuto aspettare Landis/Dante per uscire dall’ovatta di vecchia leggenda middle-europea, e iniziare a rappresentare così l’istinto umano sia erotico che violento. Ad oggi l’uomo lupo è sinonimo di erotismo al pari del vampiro. Ma se quest’ultimo lo è perché fascinoso e seduttivo, l’Uomo Lupo lo è invece perché rappresenta l’impeto sessuale libero, istintivo, e primitivo. Una libidine irrefrenabile, selvaggia al punto da permettere una trasformazione fisica, cosa che è poi anche l’erezione. Per stessa ammissione del regista la trasformazione del protagonista doveva sconvolgere, doveva essere la sua “prima volta” dolorosa, un po’ come un’erezione da urlo, dice. Infatti abbiamo come protagonisti due ragazzi che viaggiano in Europa per le vacanze sperando in avventure sessuali che invece non arrivano. Inverosimilmente David Kessler (David Naughton) non ha mai avuto rapporti sessuali. Noi non lo sappiamo, e per l’economia del film non ci viene fatto sapere proprio perchè la sua scoperta dei piaceri sessuali possa coincidere con la trasformazione licantropica. Trovato l’amore e quindi anche il sesso David assiste incredulo, nonostante le varie premonizioni del caso, alla sua trasformazione che John Landis si premura di farci pervenire anche con qualche spunto erotico. É in casa solo, e nella febbrile attesa del plenilunio e dell’istinto sessuale da sfogare con la sua nuova donna, gironzola per casa inquieto come se avesse addosso una strana agitazione: è l’istinto masturbatorio da placare. Nonostante gli sforzi per allontanare questo impeto fisico incontrollabile, David cede. Si sente letteralmente bruciare, ha così caldo da togliersi la maglietta e sfoggiare il suo fisico seduttivo, per poi togliersi anche i jeans e restare completamente nudo pronto per la trasformazione/erezione. Una mutazione dolorosa, proprio come una “prima volta”, dove il corpo cambia senza che noi glielo chiediamo e dove il dolore è quasi una sorta di piacere fisico. Una volta lupo mannaro David ha liberato un’istintualità mai liberata prima, e al suo ritornare nelle fattezze umane scopre e mostra una singolare euforia, una felicità e allegria insolite che svelano inconsciamente l’adesione alla sua nuova natura, alla sua nuova scoperta.
Landis ci offre solo due trasformazioni all’interno del film. La prima è la più celebre, e per certi versi lo è ancora di più di quella di Joe Dante. Nessuno ancora oggi scorda lo spogliarello impellente di David Naughton e sua successiva trasformazione “a vista” sotto le note di “Blue Moon”. La seconda è più contenuta e non ci viene mostrata nella sua totalità. Landis infatti si concede meno dell’amico e collega Dante che invece non esita a mostrare, sempre in economia, le fattezze orribili dei suoi uomini lupo. In Landis quindi avvertiamo un maggior riferimento all’horror classico che postponeva la visione della mostruosità alla suggestione di essa, a un suo accenno. In Landis come in Dante il classico e il moderno, forse perchè sono i due film di transizione del genere, si mescolano bene tra loro, anzi, senza il primo il secondo non sussisterebbe e viceversa. La referenzialità al passato e l’impostazione della novità sono qui sia le misure della modulazione narrativa (incipit letterario, la trasformazione moderna, l’ironia delle scene comiche, l’apocalisse finale) sia quelle dell’intenzione autoriale (la tradizione del racconto dell’orrore, i nuovi effetti speciali, la sdramatizzazione e l’irriverenza adolescenti, il gioco delirante all’accumulazione). Ancor più di Joe Dante Landis si diverte a contrastare la narrazione fatta di episodi truculenti come di siparietti comici in puro stile brit alla Monty Python. Questo, oltre a marcare ulteriormente la sensazionalità delle scene splatter, è anche un codice linguistico proprio del regista con cui si è sempre preso gioco dell’autorità e delle istituzioni, celebrando la sua corrosiva inclinazione allo sberleffo. Anche la risemantizzazione del classico dickensiano trova qui un’applicazione ironica che fa eco all’esagerazione delle scene truculenti. Così, se nel “ritornante” di Griffin Dunne, l’amico Jack morto sbranato a inizio film, vi rivediamo in funzione di coro classico i tre fantasmi che fanno visita al vecchio Scrooge, così rivediamo nel caotico finale apocalittico lo stesso spiazzamento visivo e contenutistico, folle e adolescenziale di Martin Scorse alla fine di “Taxi Driver”. Lo splatter e il gore irrompono nella narrazione deflagrando i codici, gli schemi e le aspettative. Così anche un lupo mannaro in un cinema porno a Picadilly può, invece che generare il sorriso, portare morte e distruzione. Il flagello lupesco di David trova la sua classica conclusione non a caso in un vicolo cieco. La tragedia dell’Uomo Lupo, il mosro “malato” secondo la teratologia di Fabio Giovannini, poteva compiersi solo così, con la morte ineluttabile. Non c’era altra alternativa, nessuna via di fuga: solo un vicolo cieco.
Trasformazioni in plain-aire, scene di nudo, sangue e frattaglie e tanta cattiveria feroce contro l’uomo comune fanno, nella loro “mostrazione”, cioè nella loro ostentazione mostruosa, la felicità di un gioiello orrorifico che mostra senza nessun tipo di problema l’immostrabile. L’horror ha difatti il potere di mostrare tutto ciò che non va mostrato, e se anche a volte si scade nel gratuito, quella gratuità serve per liberare un tabù, per squotere le coscienze, per svegliare gli animi assopiti, i cervellini impanati. Il film di Landis è un film che racconta una delle storie più vecchie del mondo, veicolando uno dei temi più vecchi del mondo, cioè quello dell’istinto sessuale, dell’animalità che è in noi, oppure del lato cattivo e perverso che è insito in ogni essere umano, e lo fa attraverso un’ambientazione nuova ed originale adottando uno stile a tratti brillante, dove è così più facile avvertire l’irruzione della mostruosità, e a tratti più oscuro e feroce proprio come i migliori horror d’annata.

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