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Viale Flamingo

Regia di Michael Curtiz vedi scheda film

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La recensione su Viale Flamingo

di Baliverna
8 stelle

Alcune volte ho letto che Michael Curtiz era un artigiano fortunato e nulla più, che riuscì ad inanellare un film di culto come Casablanca, e per il resto non fece nulla di degno di nota. A parte il fatto che il suddetto capolavoro lo ha diretto lui e non si è fatto da solo, basterebbe questo “Viale Flamingo” per provare che Curtiz era un regista capace che sapeva il fatto suo. Il film è un’articolata riflessione sull’arrivismo, la smania di potere, i compromessi sempre più pesanti che si fanno col male, e sulla vanità di tutto ciò. Per questo, anche tanto di cappello allo sceneggiatore. La voce fuori campo iniziale premette subito che tutti coloro che raggiungono il potere si rendono poi conto quanto esso sia vano e non dia la felicità, e il viale Flamingo ne il simbolo. Quanto ai personaggi, possiamo dire che sono tutti ben definiti e realistici. Notiamo il vice sceriffo che poi diventa senatore: un uomo sostanzialmente buono, che ha il senso dell’onestà, ma è tormentato però dalla smania di far carriera in politica, e per essa si piega – anche dopo aver incontrato l’amore - ad un matrimonio d’interesse e si presta ad ogni genere di corruzione ed intrallazzo. Il fatto interessante è che si rende ben conto di ciò che sta facendo ma, benché ciò lo ripugni, continua imperterrito sulla via del male, fino a rimanervi giocato. Interssante come tenti invano di soffocare la coscienza sotto fiumi di whisky. La moglie, dal canto suo, è la tipica donna arrivista che cerca il buon partito e “ama” un uomo solo in base a quanto in alto è riuscito a salire o promette di farlo. Lo sceriffo grassone, invece, è l’incarnazione della corruzione nel mondo della politica e delle istituzioni, uno che la coscienza l’ha già tacitata da un pezzo, e non indietreggia davanti a nessun crimine. Joan Crawford è invece una donna sfortunata, non perfetta ma sostanzialmente integra, che preferisce la povertà al scendere a patti coi prepotenti. Tenta inoltre - con enorme fatica perché ostacolata dalla maldicenza dei puritani – di sollevarsi dal fango in cui le vicende della vita l’avevano gettata. Il marito di lei, benché si barcameni alquanto e abbia un passato di piccole corruzioni e meschinità, è l’unico che alla fine trova il coraggio di riscattarsi e tirarsi fuori da quel marciume.

Il film, benché pessimista sul mondo della politica, lascia aperta la speranza e in sostanza approva il sistema della democrazia americana. Precisa anche che esso non sarebbe di per sé sbagliato, se solo si potessero cacciare via i corrotti che vi mettono le unghie sopra. E qui è la colpa è degli elettori, distratti e superficiali. E’ un film con poca azione ma alta tensione drammatica, dialoghi interessanti e ottime interpretazioni attoriali. Curtitz non fa capriole con la macchina da presa, “si limita” a metterla sempre al posto giusto, a muoverla quanto basta, e a dirigere bene gli attori. Insomma, non manca nulla del grande cinema dei tempi che furono.

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