Regia di Andrej Tarkovskij vedi scheda film
Parole e immagini: sono questi gli ingredienti del cinema, che, nella vita, rispecchiano, rispettivamente, i pensieri ed i ricordi. Sono soltanto segni riflessi, superficiali impronte della percezione, eppure, imprimendosi nella mente o sulla carta, sono in grado di condizionare le idee, creando un canone di riferimento, un precedente da cui è difficile svincolarsi. Un uomo può restare legato al volto della madre come ad una ossessione, una correttrice delle bozze può cadere in preda al panico per il timore di aver trascurato un refuso: ciò che è stato visto e fotografato, detto e stampato, assume infatti una veste esemplare e perentoria, che lo impone come modello da imitare, da moltiplicare per creare l’ennesima riedizione di una verità da consegnare alla Storia. La replicazione è la modalità che tiene il mondo ancorato ai propri miti e ai propri errori, impedendogli di volare verso il progresso: il passato ci perseguita, perché sappiamo che si ripeterà, e il conformismo ci travolge, perché siamo ben consci che la diffusione delle mode, delle tendenze, delle mentalità è un processo inarrestabile. Le guerre, mai finite e sempre ugualmente inutili, ingiuste e dolorose, sono l’effetto più devastante di questa malattia universale, la cui causa è la fondamentale mancanza, nell’uomo, di una volontà sufficientemente forte e libera. Questo è il motivo per cui noi non ci ribelliamo, ed aderiamo in massa a tradizioni crudeli (come la corrida spagnola) o a principi pericolosi (come le ideologie dei totalitarismi), perché così fan tutti, e noi stiamo nel mezzo. In quest’opera a sfondo autobiografico, Tarkovskij riscopre in sé, nel sofferto attaccamento al proprio passato, quella schiavitù che da sempre opprime l’intera umanità: una moltitudine imbelle, che resta immobile e si limita ad invocare metaforicamente, dal cielo, il fuoco che distrugge e la pioggia che lava e cancella. Lo specchio è il simbolo di un’introspezione, di un guardarsi dentro che restituisce, però, soltanto il solito vecchio viso, incapace di cambiare e di reagire, con un nuovo inizio, a tutto il male che lo circonda.
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