Regia di Andrej Tarkovskij vedi scheda film
Suggestivo, stratificato, onirico, un film che è il bilancio di un'esistenza non tanto per ricordi, quanto per sensazioni. Per colori (sapiente l'alternanza fra bianco e nero e colore), per visioni (spesso la realtà si mischia alla fantasia, inscindibilmente), per parole (potentissima l'espressione poetica, che del resto allontana però lo spettatore dalla 'prosa' concreta dei fatti), per volti (quello della madre e della moglie: lo stesso; quello di sè stesso bambino e del proprio figlio: lo stesso). E per dettagli; maniacale è la cura di Tarkovskij: angoli, pareti, alberi, foglie, capelli, ogni singolo oggetto è inquadrato con uno scopo preciso, anche se spesso la profondità del (probabile!) simbolismo lascia interdetti. Intelligente ed originale l'idea di narrare in prima persona senza inquadrare mai il protagonista. Un'opera maestosa e difficilissima, come la visione di un folle.
Un uomo sulla quarantina ripercorre la sua vita: l'infanzia segnata dall'abbandono del padre, l'incendio della sua abitazione, il difficile rapporto con la madre, la moglie così sorprendentemente simile alla madre stessa, il figlio così sorprendentemente simile a lui da piccolo, l'allontanamento dalla moglie...
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