Regia di Denzel Washington vedi scheda film
Denzel Washington debutta come regista e la sua opera prima è dignitosa. Non mancano ingenuità dovute alla parziale inesperienza e alla volontà di incanalarsi in un filone di drammi privati più attento ai contenuti che alla forma, più al tema che alla messa in scena. Gli attori, che rappresentano la nuova generazione di interpreti afro-americani, sono diretti con il palpabile affetto di una padre cinematografico. Il neoregista non è un innovatore e preferisce un linguaggio nitido, piano, “a squadra”, in alcune scene troppo guardingo e cellophanato. La storia di Antwone Fisher (quando è nato il progetto del film era una guardia giurata dei teatri di posa della Sony di Los Angeles) è una storia vera e penosa. Per molti anni è stato in Marina e nel film il protagonista è un marinaio aggressivo e irascibile, costretto a incontrare uno psichiatra (Washington) per imparare a dominarsi. Le sedute, con immancabile transfert e turbolento pranzo del Ringraziamento, sono un faticoso cammino nella memoria di un’infanzia segnata da violenze e abusi. Tra cura del sé, potere della parola, forza del passato, flashback e recupero dell’autostima, Washington dimostra di conoscere bene il manuale, ingiallito, della grammatica del cineasta diligente.
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