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January 2

Regia di Zsófia Szilágyi vedi scheda film

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La recensione su January 2

di orsotenerone
6 stelle

Continuiamo il nostro percorso nella sala web della mostra del cinema di Venezia e andiamo in Ungheria per January 2.

Il film partecipa alla sezione Biennale Cinema College ed è il secondo lungometraggio della regista di Budapest Zsófia Szilágyi.

Il film racconta la storia una separazione (con tanto di trasloco) tra moglie e marito, visto però con gli occhi della migliore amica di lei.

Il film richiama alcuni sketch di Zelig sui film polacchi (seppur questo è ungherese) in quanto, purtroppo, spesso c’è una mancanza di espressività, probabilmente voluta ma che alla fine stufa.

Questo trasferimento, questo cambio di vita è lungo una sola giornata, ma sembra durare un mese. I dialoghi ridotti all’osso non aiutano a creare quel giusto pathos.

Si salvano invece, alcune intuizioni della regista, che attraverso delle immagini aiuta a spiegare i veri sentimenti delle due protagoniste.

 

 

Per esempio, la porta della nuova casa che non si apre e in contemporanea le riflessioni della donna che si sta separando.

Oppure l’amica che va a trovare quello che probabilmente è il fidanzato e lo scopre immaturo davanti ad un tavolo da Ping-pong.

I muri scrostati (addirittura un primo piano sui muri) e questa macchina rossa che fa avanti indietro tra la vecchia e la nuova casa.

January 2: conclusioni

La pellicola purtroppo è troppo lenta e in certi punti risulta veramente noiosa, ma è comprensibile in quanto la sceneggiatura è ridotta all’osso e non da possibilità di creare nuovi input.

Non ho amato neppure gli stacchi sui primi piani, quegli effetti di montaggio decisamente voluti ma che a me sembrano poco incisivi e ripetitivi.

Interessante invece il tema della claustrofobia della vita, disegnata dalla regista attraverso le sensazioni claustrofobiche che respirano nella prima casa piena di scatoloni, poi nella seconda casa e per tutto il film nella macchina rossa.

Tecnica, colori, dialoghi, sceneggiatura è tutto piatto. Probabilmente è voluto, però sono sicuro ci fossero altri modi per comunicare gli stessi pensieri.

Una pellicola da cinema D’Essai che andrebbe comunque scoperta e discussa.

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