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Honeymoon

Regia di Zhanna Ozirna vedi scheda film

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La recensione su Honeymoon

di mimmovelvet
6 stelle

Nella casa nuova ci sono Amore, speranza, timore, paura, guerra, sopravvivenza, angoscia. Non resta che provare a fuggire. Un film (praticamente) senza gli esterni per raccontare l'invasione, l'accerchiamento, la prigionia nella propria terra, anzi nella propria casa.

Una luna di miele lunghissima, trascorsa nella loro casa nuova, ancora da completare, con la carta gommata sulle pareti per simulare lo spazio dei mobili che verranno. Come ogni buon film angoscioso che si rispetti, si comincia con i toni di festa, gioia, gli amici che li vanno a trovare, e tra un regalo utile e una disquisizione sul colore da scegliere per le pareti, vien fuori il problema imminente, l'angoscia latente, la paura possibile e strisciante, l'invasione. Dei russi. E una mattina le esplosioni, sempre più vicine, svegliano i due innamorati e li portano davanti alla finestra, silohuette in piedi, muti. La storia, quella vera che seguiamo da lontano dal febbraio del 2022, entra nel piccolo appartamento di Taras e Olya attraverso i loro sguardi dalla finestra, i rumori dalla strada e dagli appartamenti vicini, dalle telefonate ai rispettivi genitori, dai loro racconti dopo essere rientrati per cercare benzima, cibo, e fare la coda a bancomat ormai svuotati. Olya è una giovane artista, la pregano da Vienna di fuggire subito da lì, l'aspettavano il mese successivo per esporre le sue opere. Ma l'Ucraina è in pericolo, lei non può scappare, e non chiede soldi per fuggire all'interlocutrice austriaca, ma soldi per finanziare i soldati ucraini per potersi difendere, per potersi armare. Dopo questi bagliori patriottici e resistenziali, il film ci immerge quasi improvvisamente nel silenzio di queste due vite che, impossibilitate a partire per kiev perchè Olya non vuole separarsi dalle sue opere, decidono di seppellirsi in casa, per nascondersi al nemico. Nemico che bussa alle porte, fa uscire tutti dagli appartamenti, giù ci sono i carri armati, e loro si attrezzano per una lunga, angosciante convivenza fatta di sussurri e paure. Per un film che mostra solo all'inizio l'esterno casa, non può che efficacemente risultare claustrofobico, mosso dai suoni, dai rumori e dalle voci spaventose che entrano nelle loro ansie nascoste tra gli scatoloni che occupano casa. C'è anche spazio ad una crudele amara ironia, quando la donna commenta la sorte di Oleh, il loro vicino fantasma, di cui sentiamo solo la voce in due sequenze. La guerra entra così nella vita dei due protagonisti, e staziona impalpabile quanto terribile tra quelle quattro mura, generando nella donna due forti reazioni: il desiderio improvviso di maternità, per poter essere utile a qualcosa nella vita visto che con l'arte non era ancora riuscita a dimostrare niente, e il desiderio di anatema profondo, sconfinato e perenne per i nemici russi invasori, "sino alla settima generazione", con un viso sofferto e minaccioso improvvisamente acceso da una luce irreale. Un film importante, difficile, significativo, racconta in silenzio orrori che non esplodono, alla fine, mai abbastanza da scuotere definitivamente lo spettatore, che ne viene sordidamente abituato. Proprio come accade con la nostra realtà davanti alle notizie che ci arrivano da quella guerra.

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