Regia di Alexandros Avranas vedi scheda film
Venezia 81. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Alexandros Avranas inaugura "Quiet Life" con una sequenza che evoca gli spettri di "Miss Violence", film inquietante che fece discutere il Lido nel 2013 ma che si portò in dono, oltre alle polemiche, il Leone d'Argento alla regia, per l'azzardo e la visione crudele della brutalità umana, e la Coppa Volpi per l'intensa interpretazione del suo protagonista. L'orrore quasi insostenibile di quel film è forse irripetibile ma il regista greco ce lo ricorda disponendo una famiglia secondo l'ordine marziale richiesto da un'ispezione certosina, prescritta da un'istituzione che, con esemplare zelo, mostra i muscoli e il potere di inapellabili decisioni. Gli ambienti interni riflettono gli stati d'animo di coloro che li vivono e l'algida compostezza delle immagini, dei corpi e delle forme comunicano il senso di una disgrazia incipiente come il celeberrimo salto nel vuoto che diede al regista greco la notorietà. I toni grigio/celesti, le simmetrie perfette, il minimalismo Ikea e le bocche dei protagonisti, così vuote e così rigide, nella luce fredda ed artificiale del nord svedese, sono perfettamente a fuoco con il grigiore di un sistema idealmente votato alla cura delle persone ma che, secondo chi scrive, appare spaventosamente privo di compassione dietro le linee guida di un perfezionismo sistemico esemplare.
In questo rigore formale, estetico e descrittivo Avranas non può esimersi dal mostrare l'alienaziome sociale e la serena consapevolezza di chi fa il proprio dovere senza mettere in gioco i propri sentimenti, protetto da un falso sorriso, da una porta allarmata o da soluzioni burocratiche che allegeriscono artificiosamente le coscienze.
Il regista non si ferma alla sola critica sociale e dà forma alle propria perplessità nei confronti della genitorialità e del ruolo dell'adulto che non sempre appare positivo, un po' come avvenuto nel suo capolavoro, benché le azioni compiute da Sergei e Natalia non possano essere paragonate a quelle commesse all'interno dell'appartamento ateniese dal padre padrone Themis Panou. La Svezia non è fortunatamente la Grecia e la famiglia Gallitzin non è quella dell'orco che imponeva torture e privazioni ai propri familiari. Le intenzioni dei genitori di Alina e Katja prestano il fianco alla critica per un eccesso di violenza psicologica nei confronti delle figlie ma la posta in gioco è davvero troppo alta per crocifiggere un nucleo familiare senza più patria, privato delle proprie sicurezze, tradito dal proprio governo e costretto all'esilio da una democrazia immatura e priva di pluralità di pensiero. Sergei e Natalia non possono tornare in Russia senza trasformare una ferita da taglio in una cassa da morto. Ma ciò che serve ad ottenere l'asilo è troppo grande da gestire senza conseguenze e senza gettare ombre sull'operato di chi, vittima, solca una deriva che spinge verso la sponda opposta.
Aexandros Avranas racconta nello stesso film la difficile situazione dei rifugiati politici e quella dei loro figli sradicati dall'ambiente che li aveva cresciuti, per motivi difficili da comprendere, e costretti a fare i conti con la paura del ritorno in una patria verbalmente violenta e ormai inospitale. Il dramma incipiente, infine, prende forma nella Sindrome della rassegnazione infantile, un disturbo che colpisce soprattutto i figli dei migranti che sprofondano in un torpore profondo e incontrollabile per sfuggire ad una realtà senza speranza che non possono combattere con le proprie deboli forze a fianco di adulti già svuotati di ogni vitalità e forse costretti a fingere un amore parentale che non possiedono più per raggiungere lo scopo della loro misera esistenza. Il sistema sanitario non brilla per umanità e conforto e, a tratti, sembra di entrare nelle cliniche della morte naziste ma stavolta Avranas ci regala quella speranza che ci aveva negato in "Miss Violence,". Una speranza certamente composta, oserei dire tiepida, che brilla della luce di un albero illuminato dal sole e del sorriso appena abbozzato di una bambina conscia di possedere una via di fuga.
Misteriosamente parcheggiato in Orizzonti, "Quiet Life" avrebbe meritato senza dubbio il concorso principale.
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